Con la repressione finanziariabanche, imprese e privati hanno contemporaneamente risposto alla crisi con un processo graduale di deleveraging, rifiutandosi di assumere ulteriore debito per investimenti o consumi
All’improvviso, dopo che negli ultimi mesi politici economisti e banchieri centrali ne avevano più volte negato il rischio, in una mattina qualunque di fine agosto l’Italia intera ha scoperto di essere in deflazione, per la prima volta da oltre 50 anni e precisamente dal lontano settembre del 1959 quando in realtà l’economia era in forte crescita.
Ad agosto secondo le prime stime, l’indice dei prezzi al consumo misurato dall’Istat ha segnato un calo dello 0,1% rispetto allo stesso mese dello scorso.
Ma lasciamo per un istante cifre e ricorrenze e cerchiamo di comprendere cosa significa deflazione, quali sono le dinamiche che l’accompagnano e soprattutto le sue conseguenze e possibili vie di uscita.
Partiamo dalla semplice definizione che potete trovare su qualunque vocabolario, ovvero, per deflazione si intende una riduzione del livello dei prezzi, che generalmente si accompagna a contrazione o stagnazione della produzione e del reddito, generalmente perché non sempre è così.
In questi anni abbiamo imparato ad ascoltare la storia e soprattutto l’analisi empirica, lo studio della Grande Depressione e della recente crisi giapponese ci ha condotto attraverso la causa principale di tutte i maggiori periodi di deflazione, ovvero la “debt deflation”, la deflazione da debiti.
Oltre 80 anni fa, nel passaggio tra Scilla e Cariddi della Grande Depressione, Irving Fisher pubblicò il suo lavoro “La deflazione da debiti, teoria della Grande Depressione”, nel tentativo di trovare una spiegazione che potesse dare un senso agli eventi drammatici di quel periodo.
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