Euro, l’unione monetaria è sostanzialmente fallita
Come mai un paese come la Grecia con una popolazione del 3% del totale e un Pil del 2% del totale eurozona, quindiirrilevante dal punto di vista economico, ha scatenato l’allarme nella finanza mondiale? Come mai i poteri economico finanziari europei e perfino le agenzie di rating si sono coalizzati in una santa alleanza per costringere il paese ad accettare un piano di salvataggio condizionato a nuove misure di’austerità?
Quale austerità potrà mai ripagare un debito record di 323 miliardi e pari al 175% del PIL con una economia sfinita? Come mai la santa alleanza ha respinto sin dall’inizio la proposta greca di ristrutturare il debito declassato dalle stesse agenzie di rating?
Senza ristrutturazione, cioè senza una considerevole riduzione del suo debito la Grecia, non potrà mai ripagare i creditori se non nei secoli a meno di non aver uno sviluppo da economia cinese. Il vero motivo dell’opposizione alla ristrutturazione del debito nasconde una crisi molto più grave e pericolosa per la moneta unica.
Completamente ignorato dai media spiega le difficoltà del negoziato ma anche il funzionamento della finanza europea. Di che si tratta? Per spiegarlo bisogna fare un passo indietro, nel 2012, all’epoca del secondo salvataggio greco (il primo è del 2010), in realtà mai avvenuto.
Nel dicembre 2011 la Banca Centrale Europea inaugurava la prima operazione LTRO e nel febbraio 2012 la seconda. La crisi nell’eurozona cominciava a farsi seria. Con ilLTRO, long term refinancing operation la BCE concedeva un prestito della durata di 3 anni alle banche richiedenti.
Si trattava di una specie di quantitative easing con la differenza che con il LTRO i prestiti venivano concessi attraverso operazioni direpurchase agreement, meccanismo in forza del quale la BCE acquistava i titoli sovrani dalle banche con l’accordo di rivenderli nel giro di tre anni alle banche stesse. In sostanza serviva a salvare il sistema bancario acquistandogli titoli sovrani di valore incerto contro nuova liquidità.
Così se la banca A aveva nel suo attivo, poniamo, titoli di stato greci al valore nominale di 100 e il valore di mercato scendeva a 50, il suo capitale netto (differenza tra attivo e passivo) avrebbe subito una riduzione pari alla minusvalenza del titolo. Il LTRO risparmiava alla banca questa perdita perché la banca centrale acquistava i titoli non al valore di mercato ma al valore nominale contro liquidità che A imputava a riserva presso la banca centrale.
Insomma un’operazione di apparente riequilibrio finanziario. Tra il 2011/2012 venne così erogata a più delle 800 banche del sistema la somma totale di 1.3 trilioni di euro in cambio dei titoli sovrani fra cui quelli greci. In particolare, fu la seconda operazione LTRO mandata ad effetto nel 2012proprio poco prima dell’accordo per il secondo salvataggio della Grecia a sottrarre i titoli greci posseduti dalle banche agli haircut ossia dalle perdite di oltre il 50% che invece, gli investitori privati si accollarono. I titoli acquistati dalla banca centrale conservavano il valore nominale e poi, alla scadenza dell’operazione di rifinanziamento rientravano nei bilanci delle banche con lo status di “collaterale” di primordine (!) per le loro operazioni di prestito. Il salvataggio greco, in realtà fu quello del sistema bancario.
Ora le nervose trattative in corso tra l’Eurogruppo e BCE da una parte e la Grecia dall’altra, mascherano ancora una volta le preoccupazioni per la fragilità del sistema bancario europeo. Fin dall’inizio Eurogruppo e BCE hanno respinto qualsiasi discussione avente per oggetto la ristrutturazione del debito greco.
Perché? Perché la ristrutturazione del debito 1) falcerebbe il valore nominale dei titoli di debito greci non più protetti dalla BCE, penalizzando l’attivo delle banche; 2) la riduzione del debito comporterebbe perdite sui derivati legati ai titoli, cioè sui contratti di assicurazione stipulati con gli hedge fundsper garantirsi contro le oscillazioni del loro valore o i rialzi del tasso di interesse), le perdite sarebbero enormi poiché i derivati sono acquistati dalle stesse banche con un’alta leva finanziaria cioè praticamente con capitale di prestito e quindi l’esposizione bancaria è immensa; 2) alla ristrutturazione del debito greco seguirebbe quella del debito degli altri paesi membri il che, significherebbe una ristrutturazione complessiva di 3 trilioni di titoli di debito associati a 30 trilioni di derivati in carico al sistema bancario, infatti, il rapporto tra il valore dei derivati e quello dei bond è in media di 10 a 1.
Ora il sistema bancario europeo si regge su una leva finanziaria “ufficiale” di 26 a 1 (ma in realtà è più alta) e ciò significa che ogni 26 euro del suo attivo (prestiti erogati a terzi) sono garantiti da appena 1 euro di capitale.
Quindi, con una leva così alta, basterebbe un ribasso del valore dell’attivo di appena il 3,8% (ad es. per perdite su crediti o diminuzione delle quotazioni dei titoli) per azzerare il suo capitale portando il patrimonio netto in area negativa. Il ribasso che, in caso di ristrutturazione del debito, dovrebbero subire i titoli greci, spagnoli, italiani, francesi e portoghesi sarebbe ovviamente molto, molto superiore al 3.8% fino a raggiungere il 50%, il che significherebbe l’annientamento del sistema bancario e quindi dell’eurozona.
Quindi, alla domanda: perché tutte le forze finanziarie europee si sono coalizzate per costringere la Grecia ad accettare il loro piano di salvataggio basato sull’austerità con programmi di revisione periodica senza passare per la ristrutturazione del debito? Si deve rispondere: per evitare il collasso del sistema bancario europeo, il vero soggetto a rischio in tutta questa vicenda e sempre tenuto lontano dai riflettori.
Non è il debito greco che deve spaventare ma l’orrenda situazione del sistema bancario. Ed è infatti questo è il motivo per cui la BCE tra breve manderà ad effetto il quantitative easing.
Tutto ciò deve ovviamente far riflettere sui fondamentali su cui si regge l’eurozona: inesistenti.
In un’unione monetaria solida con un sistema bancario altrettanto solido la sorte di un paese come la Grecia non desterebbe alcuna preoccupazione. Ma nulla è solido nell’eurozona e ogni piccola crisi ha un potenziale distruttivo enorme.
A più di due anni di distanza del famoso e rassicurante whatever we take del presidente della BCE, tutto è peggiorato. L’unione monetaria è sostanzialmente fallita e va avanti come un Frankenstein: quello che rimane è ormai una creatura informe con i resti organici di più paesi economicamente sfiniti che vegetano a forza di periodici elettrochoc monetari.
Non ci si illuda: qualunque sia il risultato delle trattative con la Grecia, si tratterà per l’eurozona solo di un rinvio della resa dei conti finale.
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