Cari amici,
Tutti i giornali oggi trattano del “caso Eluana” da diversi punti di vista, e credo che ci sia tanto lavoro per tutti: Sociologi, Teologi, Psicologi, Preti, Libertari, Anarchici, Atei.
Ogni persona ha il diritto di salire sul palco e di “dire la sua”:
Chi era Eluana ieri?
Una persona viva?
Un cadavere che si sorreggeva grazie ai medicamenti?
Il cuore batteva?
Il cervello funzionava?
A che stato della vita le persone possono “perdere” il diritto di vivere?
….tutte queste domande a mio giudizio hanno pochissimo senso “pratico”, poichè non tentano neanche di formulare l’ unica domanda legittima:
Cos’ è la vita?
Io non so come rispondere a questa domanda, e non credo neanche che esistano risposte che possano essere espresse con le parole.
Per ciò che mi riguarda credo di aver vissuto degli “attimi” di vita, ma di più non mi sento di scrivere.
In questa situazione così complessa e confusa, sarebbe opportuno che il parlamento si astenesse dal fare leggi sull’ onda emotiva dell’ opinione pubblica.
Ciò che scaturirebbe sarebbe probabilmente una “brutta” legge, che attirerebbe polemiche e critiche da “tutte” le parti in causa, che già non vedono l’ ora di litigare.
Per vedere la vita come realmente è niente giova quanto la realtà della morte.
Immagino di essere presente al mio funerale, Vedo il mio corpo nella bara…
Odoro i fiori e l’ incenso… Assisto ad ogni particolare dei riti funebri…
I miei occhi si posano brevemente su ogni persona presente al funerale…
Ora capisco quanto poco hanno da vivere essi stessi…
solo che non ne sono coscienti.
In questo momento la loro mente non si concentra sulla loro morte o sulla brevità della loro vita, ma su di me.
Questo è il mio giorno di spettacolo, la mia ultima grande sceneggiata sulla terra, l’ ultima volta che sarò al centro dell’ attenzione.
Ascolto ciò che il prete dice di me nell’ omelia…
E mentre esamino con lo sguardo i volti dei presenti noto con piacere che mi rimpiangono.
Lascio un vuoto nei cuori e nella vita degli amici…
Mi toglie ogni illusione il pensare che possono esserci persone tra la folla che sono contente che me ne sono andato.
Seguo la processione verso il cimitero…
Vedo il gruppo in piedi, in silenzio presso la tomba mentre si recitano le ultime preghiere…
vedo la bara scendere nella tomba, il capitolo conclusivo della mia vita…
Penso sia stata un’ esistenza decorosa, nonostante tutti i suoi alti e bassi… i suoi periodi di eccitazione e monotonia… i suoi successi e le sue frustrazioni…
Mi fermo accanto alla tomba a rievocare capitoli della mia vita mentre la gente ritorna alle proprie case, ai piccoli quotidiani compiti, ai suoi sogni e alle sue pene…
Passa un anno e ritorno sulla terra.
I vuoti dolorosi che ho lasciato vanno ordinatamente colmandosi.
La memoria di me sopravvive nei cuori degli amici, ma essi mi pensano meno.
Ora aspettano con ansia le lettere di altri, si rilassano in compagnia di altri; altri sono diventati importanti nella loro vita e così dev’ essere: la vita deve continuare…
Visito la scena del mio lavoro. Se ancora continua, qualcun’ altro lo sta facendo, qualcun’ altro prende le decisioni…
I luoghi che ero solito frequentare appena un anno fa: i negozi, le strade, i ristoranti… sono tutti là.
E sembra non avere alcuna importanza che io abbia camminato per queste strade e visitato quei negozi e viaggiato su quegli autobus.
Nessuno sente la mia mancanza. Non quì!
Ricerco i miei effetti personali come il mio orologio, la mia penna… e quelle cose che avevano per me un valore sentimentale: souvenir, lettere, fotografie…
E i miei mobili….i miei abiti…i miei libri…
Torno per il cinquantesimo anniversario della mia morte e mi guardo intorno per vedere se qualcuno si ricorda ancora di me o parla di me….
Passano cento anni e torno di nuovo. Eccetto una o due fotografie sbiadite in un album o su un muro e l’ iscrizione sulla mia tomba, poco resta di me…
Neppure il ricordo degli amici, perchè nessuno di loro esiste più.
Insisto nel cercare qualche traccia della mia esistenza, eventualmente rimasta sulla terra…
Guardo nella mia tomba, e trovo nella bara un pugno di polvere e le ossa sbriciolate.
Poso gli occhi su quella polvere e ripenso alla mia vita: I trionfi…le tragedie… le ansie e le gioie gli sforzi, i conflitti… le ambizioni, i sogni… gli amori che costituivano la mia esistenza …tutto è sparso nel vento, assorbito dall’ universo….
Solo un po’ di polvere resta ultima tenue traccia di questa mia vita!
Contemplando quella polvere è come se un peso enorme mi venisse tolto dalle spalle…
il peso che deriva dal pensare che io conti qualcosa….
Poi alzo gli occhi, e contemplo il mondo intorno a me… …gli alberi, gli uccelli, la terra, le stelle, il sole che splende, il pianto di un bimbo, un treno che corre, la folla che va di fretta…
la danza della vita e dell’ universo…. e so che, da qualche parte, in tutto questo ci sono i resti di quella persona che rispondeva al mio nome…..
e di quella vita che chiamavo mia.
Avvenire
Eluana è stata uccisa. Davanti alla morte le parole tornano nude. Non consentono menzogne, non tollerano mistificazioni. E se noi – oggi – non le scrivessimo, queste parole nude e vere, se noi – oggi – non chiamassimo le cose con il loro nome, se noi – oggi – non gridassimo questa tristissima verità, non avremmo più titolo morale per parlare ai nostri lettori, ai nostri concittadini, ai nostri figli. Non saremmo cronisti, e non saremmo nemmeno uomini.
Eluana è stata uccisa. Una settimana esatta dopo essere stata strappata all’affetto e alla «competenza di vita» delle sorelle che per 15 anni, a Lecco, si erano pienamente e teneramente occupate di lei. In un momento imprecisato e oscuro del «protocollo», orribile burocratico eufemismo con il quale si è cercato di sterilizzare invano l’idea di una «competenza di morte» messa in campo, a Udine, per porre fine artificialmente ai suoi giorni.
Eluana è stata uccisa. E noi osiamo chiedere perdono a Dio per chi ha voluto e favorito questa tragedia. Per ogni singola persona che ha contribuito a fermare il respiro e il cuore di una giovane donna che per mesi era stata ostinatamente raccontata, anzi, come «già morta» e che morta non era. Chiediamo perdono per ognuno di loro, ma anche per noi stessi. Per non aver saputo parlare e scrivere più forte. Per essere riusciti a scalfire solo quando era troppo tardi il muro omertoso della falsa pietà. Per aver trovato solo quando nessuno ha voluto più ascoltarle le voci per Eluana (le altre voci di Eluana) che erano state nascoste. Sì, chiediamo perdono per ogni singola persona che ha voluto e favorito questa tragedia. E per noi che non abbiamo saputo gridare ancora di più sui tetti della nostra Italia la scandalosa verità sul misfatto che si stava compiendo: senza umanità, senza legge e senza giustizia.
Eluana è stata uccisa. E noi vogliamo chiedere perdono ai nostri figli e alle nostre figlie. Ci perdonino, se possono, per questo Paese che oggi ci sembra pieno di frasi vuote e di un unico gesto terribile, che li scuote e nessuno saprà mai dire quanto. Con che occhi ci guarderanno? Misurando come le loro parole, le esclamazioni? Rinunceranno, forse per paura e per sospetto, a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre e maestro e amico e gli potrebbe diventare testimone d’accusa e pubblico ministero e giudice e boia? Chi insegnerà, chi dimostrerà, loro che certe parole, che le benedette, apodittiche certezze dei vent’anni non sono necessariamente e sempre pietre che gli saranno fardello, che forse un giorno potrebbero silenziosamente lapidarli. Ci perdonino, se possono. Perché Eluana è stata uccisa.
Sì, Eluana è stata uccisa. E noi, oggi, abbiamo solo una povera tenace speranza, già assediata – se appena guardiamo nel recinto delle aule parlamentari – dalle solite cautelose sottigliezze, dalle solite sferraglianti polemiche. Eppure questa povera tenace speranza noi la rivendichiamo: che non ci sia più un altro caso così. Che Eluana non sia morta invano, e che non muoia mai più. Ci sia una legge, che la politica ci dia subito una legge. E che nessuno, almeno nel nostro Paese, sia più ucciso così: di fame e di sete.
Ma che si faccia, ora, davvero giustizia. Che s’indaghi fino in fondo, adesso che il «protocollo» è compiuto e il mistero di questa fine mortalmente c’inquieta. Non ci si risparmi nessuna domanda, signori giudici. Ci sia trasparenza finalmente, dopo l’opacità che ci è stata imposta fino a colmare la misura della sopportazione. E si risponda presto, si risponda subito, si risponda totalmente. Come è stata uccisa Eluana?
Marco Tarquinio