L’economia relazionale studia le materie economiche dal punto di vista dello scambio di valore umano, della solidarietà e della condivisione.
Si differenzia dall’economia “classica” perché non considera preminente lo scambio di valore monetario.
In particolare si occupa di valorizzare le comunità residenziali, le quali oggi sono escluse dall’ economia “classica”, poiché la produzione delle aziende relazionali non rientra nei calcoli che formano il PIL (Prodotto Interno Lordo).
Di seguito segnalo un elenco delle tipologie di Aziende Relazionali (ossia Comunità Residenziali che producono valore relazionale), più importanti che operano sul mercato:
Famiglie, Parrocchie, condomìni, Associazioni non riconosciute, Gruppi auto-mutuo aiuto, Banche del tempo, Associazioni Non profit, Gruppi di acquisto solidale, Associazioni sportive dilettanti, quartieri, comuni, regioni, stati nazionali.
Zinker scrive……… – economia relazionale
“Se l’uomo della strada fosse alla ricerca del proprio io, quali pensieri-guida troverebbe per cambiare la propria esistenza?
Forse scoprirebbe che il suo cervello non è ancora morto, che il suo corpo non è ancora inaridito e che, in qualunque situazione si trovi, è ancora l’artefice del proprio destino.
Può cambiare questo destino prendendo la decisione di cambiare seriamente se stesso, combattendo le sue meschine resistenze al cambiamento e la paura.
Imparando a conoscere meglio la propria mente, provando a comportarsi in modo da soddisfare i suoi veri bisogni, può compiere atti concreti anziché limitarsi a vagheggiarli”…..
A proposito della cultura borghese…
“Come può Hannah Arendt separare con un filtro ciò che ammira nella cultura borghese – il costituzionalismo, l’affermazione dei diritti umani fondamentali, l’uguaglianza di fronte alla legge, l’insistenza su una sfera privata della vita umana estranea al politico, la tolleranza religiosa…
E condannare nello stesso tempo ciò con cui è in disaccordo – il secolarismo, l’assunzione cinica della pervasività dell’interesse privato, l’influenza corruttiva del denaro sui valori umani, le tendenze depoliticizzanti e la minaccia che esse pongono per la tradizione e il senso di appartenenza?”
Alla fine si scoprì che il signoraggio, lo male dello monno, era davvero lo male dello monno.
Economia relazionale: Nozione su Wikipedia
Tratto dal libro “Il dio denaro” di Arturo Paoli e Gianluca De Gennaro, Edizioni L’Altrapagina…
Ogni giorno l’uomo perde un po’ di autonomia e di libertà, perché è drammaticamente indotto a consumare di più.
E sembra davvero che la tragedia non debba avere fine.
Bisogna insistere sulla coscienza, ricordando che l’uomo, consumando per se stesso, diventa sempre più responsabile della morte di altri, perché li condanna a non avere il necessario per vivere.
Oggi, ricordiamocelo sempre, l’economia uccide molte più persone delle armi: ed è per questo che dobbiamo iniziare a riflettere.
Non si può più essere superficiali
Non possiamo più permetterci di essere superficiali.
Rendiamocene conto una volta per tutte!
Ciascuno di noi pacificamente, vorrei dire gaudiosamente, entra nei supermercati, guarda gli oggetti, soddisfa le proprie voglie e si lascia trascinare da quei ritornelli così infantili:
“Guarda che bello questo nuovo telefonino, ieri non c’era”, oppure: “ma guarda che bello, che comodo, che pratico!”.
E ancora: “ma che meraviglia questo arnese che ci permette, premendo questo tasto, di raggiungere in un minuto quello che i nostri nonni raggiungevano in due giorni”.
Sono davvero queste le espressioni del vuoto e della superficialità, le espressioni della mentalità comune, una mentalità sapientemente e astutamente costruita e indotta.
E’ necessario reagire!
La dittatura del mercato
Per capire a fondo il titolo di questo articolo dobbiamo pensare il mercato alla stessa stregua delle grandi ideologie che hanno dominato la storia del XX secolo.
Oggi possiamo dire di essere sotto la dittatura di un’altra grande ideologia: il liberismo del mercato globalizzato che non ha niente a che fare con “l’essere liberali”, come bene aveva capito Benedetto Croce.
Il mercato, con i suoi “dogmi”, assomiglia a un sistema di pensiero che assume, progressivamente, la fisionomia di un idolo.
Al quale, senza accorgercene, siamo spinti ad aderire; né più né meno di come il sistema comunista diventò idolatria per Stalin o il nazismo per Hitler.
Economia diventa un idolo
L’oppressione nasce dalla presenza di un’ entità astratta, senza né volto né nome, l’idolo appunto, al quale ci rivolgiamo nelle cose di tutti i giorni.
L’Occidente europeo è sempre stato, nella storia, il centro dove queste ideologie hanno preso forma; l’ ultima di queste è il “mercato”.
Una volta mi sono trovato a Washington ad un battesimo di un mio amico.
Nel pomeriggio, durante la festa alla quale partecipavano anche alcuni responsabili del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), un mio amico, quasi ridendo, si rivolse agli invitati dicendo:
“Guardate che in mezzo a noi c’ è Arturo che vi condanna.
E’ bene che sappiate di avere un giudice davanti a voi.
Prendete questa occasione per parlare e difendervi dalle sue accuse”.
I responsabili della grande finanza mondiale
Questo amico faceva riferimento alla mia visione dell’ economia e a ciò che penso riguardo alle tragedie delle quali i responsabili non possono che essere le persone che maneggiano i grandi affari della finanza mondiale.
A quella scherzosa provocazione risposi:
“Io non sono un giudice, ma vengo dall’ America latina e sono testimone della fame e dell’ ingiustizia creata da gente che vive in paesi molto ricchi.
La quale condanna persone, che abitano in paesi altrettanto ricchi, a morire di fame.
Mi piacerebbe incontrare qualcuno in grado di spiegarmi il perchè di questa strutturale disuguaglianza, tra chi muore di obesità e chi muore di fame”.
Ebbene, a questa mia provocazione mi è stata data una risposta precisa, chiara, lucida.
Un funzionario dell’ Fmi si è avvicinato e mi ha detto:
“Ciascuno di noi non può che aderire al mercato e alle sue linee guida.
Se non aderiamo alle regole del mercato il mondo crollerebbe
Se non lo facessimo, questo mondo crollerebbe.
Noi, d’ altronde, sappiamo perfettamente che l’ andamento del mercato provoca fame, miseria, disuguaglianze sociali.
Di tutto ciò siamo consapevoli, perchè della fame, della miseria e delle disuguaglianze sociali abbiamo le statistiche e sappiamo anche che è “il dover” aderire al mercato la causa che produce tale situazione”.
“Che ci possiamo fare – mi disse riferendosi al fatto che il mercato produce miseria e morte – anche noi siamo schiavi del sistema e dobbiamo obbedire”.
Un concetto quasi sacrale del mercato
C’ è in queste parole un concetto quasi sacrale del mercato.
Ma se qualcuno di noi dovesse attribuire valore di sacralità a qualcosa o a qualcuno, dovrebbe avere almeno il buon senso di dimostrare qual’ è la fonte di questa sacralità.
Insomma, se il mercato si propone all’ uomo come una sorta di religione e il denaro come la rappresentazione di dio sulla terra…
Allora è necessario che i “sacerdoti” di questa nuova fede abbiano il coraggio di spiegarci qual’ è il fondamento della loro religione.
I funzionari dell’ Fmi non dicevano “non ci importa nulla della fame, della miseria e della povertà”, ma, anzi, “ci duole profondamente”, capisci?
Loro sono addolorati, ma hanno questa struttura, che evidentemente non viene dal cielo, alla quale devono aderire.
Devono obbedire, perchè è stato spiegato loro ed è stato teorizzato che l’ intenzione che si nasconde dietro al funzionamento che regola l’ economia mondiale è quella di arrivare ad una distribuzione più giusta della ricchezza.
Ora la questione è:
La struttura economica in cui viviamo non funziona. Che fare?
Visto che questa struttura funziona nella maniera opposta a quella per la quale è stata pensata, che cosa fare?
Non si trovano risposte a questa domanda per un motivo molto semplice:
Noi siamo vittime di una cultura che ad un certo punto sente il bisogno di astrarsi dalla realtà, per formare dei sistemi di pensiero che pretendono di riassumere in sè la realtà stessa, per dominarla.
Tali sistemi si propongono di realizzare al meglio quello che noi pensiamo di fare.
Da questo modo errato di intendere il pensiero, consegue l’ idea che il giorno in cui il mercato controllerà l’ economia del mondo, non ci saranno più guerre, nè fame, nè ingiustizie.
Ciò perchè attraverso questa grande “idea del mercato” noi potremo distribuire equamente i beni della terra.
La storia ci dimostra che tale modo di concepire la cultura, che fa precedere l’ idea alla realtà, è errato.
Lo possiamo vedere nei fatti, basta aprire un qualsiasi giornale.
Arturo Paoli innesta il suo pensiero nella tradizione cattolica, e propone la sua critica sulla base di ciò che costituisce il cuore dell’ economia relazionale e solidale.
Il cuore dell’ Economia Relazionale
Se la rivoluzione mercantile e capitalista è stata possibile grazie alla cultura cristiana protestante (vedi link: http://it.wikipedia.org/wiki/L%27etica_ … pitalismo Max_Weber)…
noi oggi possiamo sfruttare i lati buoni della “nostra” cultura dominante derivante dalla fede cattolica.
Il cuore di questa economia relazionale e solidale, infatti, si può trovare scritta chiaramente in molte parti del Vangelo, e si esprime attraverso due idee guida che orientano il pensiero cattolico.
Consapevolezza della realtà e trasparenza del giudizio personale – economia relazionale
La prima idea riguarda la consapevolezza della realtà e la trasparenza del giudizio personale.
Ad esempio di questa linea guida vi propongo di seguito il capitolo 6 del Vangelo secondo Luca, dal versetto 36 in avanti:
“Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’ e due in una buca?
Il discepolo non è più del suo maestro; ma ognuno ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perchè guardi la pagliuzza che è nell’ occhio del tuo fratello e non t’ accorgi della trave che è nel tuo?
Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu non vedi la trave che è nel tuo?
Prima togli la trave dal tuo occhio
Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’ occhio del tuo fratello.
Non c’ è albero buono che faccia frutti cattivi, nè albero cattivo che faccia frutti buoni.
Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, nè si vendemmia uva da un rovo.
L’ uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore.
Invece l’ uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perchè la bocca parla dalla pienezza del cuore.
Perchè mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico?
Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica.
Vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sopra la roccia.
Venuta la piena, il fiume irruppe contro quella casa, ma non riuscì a smuoverla perchè era costruita bene.
Chi invece ascolta e non mette in pratica è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta.
Il fiume la investì e subito crollò; e la rovina di quella casa fu grande”.
Condivisione equa del valore economico
La seconda idea riguarda la condivisione equa del valore economico, che può essere raggiunta attraverso la conversione del cuore.
Ad esempio di questa linea guida vi propongo di seguito due brani tratti dal vangelo secondo Luca, al Capitolo 12 dal versetto 15 al 21, e dal versetto 33 al 34:
“Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perchè anche se uno è nell’ abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni”. Disse poi una parabola:
“La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto.
Egli ragionava tra sè: Che farò, poichè non ho dove riporre i miei raccolti?
E disse – Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni.
Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia.
Ma Dio gli disse:
Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?
Così è di chi accumula tesori per se, e non arricchisce davanti a Dio”.
Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non consumano e la tignuola non consuma.
Perchè dove è il vostro tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
Nota di economia generale
John Maynard Keynes è stato un grande economista.
Ho letto un paragrafo interessante attribuito a questo grande pensatore, che è molto attuale in questi nostri tempi caratterizzati dal pensiero debole e superficiale.
“In realtà noi abbiamo, di regola, solo la più vaga idea di ogni conseguenza dei nostri atti che non sia delle più immediate.
Il fatto che la nostra conoscenza del futuro sia fluttuante, vaga e incerta rende “la ricchezza” un argomento di studio particolarmente inadatto per i metodi della teoria classica.
Tale teoria potrebbe funzionare molto bene in un mondo in cui i beni economici fossero necessariamente consumati entro un breve intervallo di tempo dalla loro produzione.
Con il termine “conoscenza incerta”, vorrei spiegare, non intendo semplicemente distinguere ciò che è conosciuto con certezza da ciò che è solamente probabile.
Conoscenza incerta o leggermente incerta della realtà
Il gioco della roulette non è soggetto, in questo senso, a incertezza, nè lo è la prospettiva che un titolo del debito della “Vittoria” venga estratto per il rimborso.
Ancora, la speranza di vita è solo leggermente incerta, e anche il tempo atmosferico è solo moderatamente incerto.
Il significato in cui io uso questo termine è quello per cui si può dire che sono incerti la prospettiva di una guerra in Europa (o in Iran n.d.r.), o il prezzo del rame (o del dollaro, o dell’ acqua…n.d.r.).
Oppure non si può conoscere il tasso di interesse (euribor….n.d.r.) da quì a vent’ anni.
Neanche l’ obsolescenza di una nuova invenzione, o la posizione dei proprietari di ricchezza privata (Capitalisti…n.d.r.) nel sistema sociale del 1970 (2025..n.d.r.).
Su queste cose non c’ è alcuna base scientifica su cui poter fondare un qualsivoglia calcolo probabilistico.
Noi, semplicemente, non sappiamo”.
La logica del PIL (Prodotto Interno Lordo) – Economia relazionale
…tratto dal libro “La dittatura del PIL”, di Pierangelo Dacrema (Edizioni Le maschere Marsilio):
Ti alzi una mattina incapsulato nel tuo PIL personale.
Non è un felice risveglio per diversi motivi.
Non ti aiuta il fatto di essere così poco orgoglioso del tuo PIL, che è una frazione davvero infinitesimale di quello nazionale.
Certo, il tuo è il reddito di un singolo, di una sola persona, neppure troppo fortunata.
Ti deprime la microscopica entità della tua partecipazione al prodotto complessivo del Paese in cui vivi.
Per la verità, mentre sorseggi sconsolato un pò di latte e caffè, non esiti a riconoscere che ti interessa ben poco la misura miserevole del tuo contributo alla produzione nazionale, al benessere collettivo.
Il reddito spesso è oggettivamente piccolo
A te importa il fatto che il tuo reddito sia oggettivamente piccolo, e ti chiedi se esista un modo intelligente e non troppo rischioso per aumentarlo.
Vivi in città, in un appartamento modesto, due o tre stanze, un bagno, una cucina (posto che non si tratti di un angolo cottura).
Poco meno della metà di quanto guadagni ti serve per pagare l’ affitto.
E il tema della casa ti suggerisce tristi pensieri sulla posizione che ti è stata assegnata, o che ti sei meritata, nel contesto generale, nel quadro del reddito nazionale.
Il PIL è l’ insieme delle risorse prodotte e per lo più consumate da un’ intera collettività nell’ arco di un anno, dell’ intero “condominio” del PIL.
Allora a te è stato riservato uno sgabuzzino, qualcosa di più simile ad una cantina che ad una stanza.
La tua casa assomiglia al tuo reddito
La tua casa assomiglia al tuo reddito, alla frazione del PIL nazionale, e il sospetto che sia la casa che meriti – la sola cui puoi legittimamente aspirare ti getta ancora di più nello sconforto.
Ti aggrappi all’ idea che la responsabilità non sia tua.
Che debba esserci un errore, che solo un architetto incapace o distratto abbia potuto concepire il tuo infelice appartamento.
Per ciò che riguarda il casermone inospitale del PIL, e che a parità di risorse impiegate, anche senza molto impegno, sarebbe stato facile fare di più.
Poi, però, ti vengono in mente le tue colpe, la tua inerzia, un cervello sempre più assopito al servizio di un corpo sempre meno efficiente e più impacciato.
Il mercato è una giungla
E tutta una società intorno, un coro incessante di voci, una ridda di raccomandazioni, di suggerimenti, a volte imperiosi, a volte suadenti:
Tutti a ricordarti che se vuoi ce la fai, ce la puoi fare, che devi essere rispettoso, ma ambizioso, educato ma aggressivo, determinato e competitivo.
Il mercato è una giungla!
Esso ha regole sue e del tutto condivise?
Certo, quelle della giungla; un luogo in cui devi aspettarti ogni tipo di agguato, dove devi essere guardingo se non vuoi soccombere, e diventare feroce se vuoi dominare.
Non vuoi accontentarti delle briciole, dei rimasugli del pasto altrui, e vuoi far crescere il tuo PIL?
Sappi che devi diventare un leone, che alla caccia è affidata la tua sopravvivenza, all’ abbondanza delle prede il vigore dei tuoi muscoli, la forza delle tue mascelle e la lucentezza del tuo pelo.
Il tuo PIL è il numero di gazzelle che riesci ad abbattere
Il tuo PIL è il numero di gazzelle che riesci ad abbattere e a sbranare.
Occorre essere veloci e possenti, astuti e spietati.
Ma come (ti chiedi), ti hanno insegnato a dire buongiorno e buonasera, ad essere civile e gentile in tanti momenti della giornata e dell’ esistenza per poi costringerti a comportarti come una belva in materia di economia?
Ebbene si!
La vita è una lotta senza esclusione di colpi.
E se “mors tua vita mea” non è un semplice modo di dire ma bensì la legge che, almeno a quanto viene detto, governa il mondo delle imprese, lo stesso principio varrà per il tuo posto di lavoro e per il tuo ruolo nella vita.
Bevendo l’ ultimo sorso di caffè ti rimane il tempo per qualche altra amara riflessione.
Il presente non è mai disgiunto dal passato.
La gabbia del PIL
Ti ricordi di quando hai lasciato la tua ultima occupazione da lavoratore indipendente, optando per un impiego poco remunerato ma più sicuro.
Non ti sei mai sentito un combattente, e la tua scelta è stata rinunciataria ma meditata, tutto sommato consapevole.
Però ora stai riconsiderando la tua decisione.
C’ è qualcosa che ti ferisce in quello che ti circonda – oggetti, ambienti, persone – e sempre più spesso ti capita di pensare che qualche soldo in più non ti dispiacerebbe.
Bisognerebbe fare qualcosa! Ma cosa?
E’ difficile uscire dalla gabbia in cui ti sei ritrovato.
L’ assenza di un orizzonte è soffocante, e il tuo disagio assomiglia a un malessere.
Possibile che l’ unica via di fuga sia demolire tutto a colpi di piccone?
Se è così, avere più spazio significherebbe invadere altri spazi, occupare un’ altra stanza equivarrebbe a toglierla a chi ora la occupa.
Qualsiasi incursione in linea orizzontale o verticale nel condomìnio del PIL diventa un’ irruzione e implica un furto, un sopruso, una violenza.
Il mercato è una competizione
Una competizione contempla sempre un vincitore. E si sa, chi vince potrebbe non avere la mano morbida, e lo sconfitto potrebbe covare rancore.
Ti chiedi se sia possibile svincolarsi da questo gioco a somma zero, uscire dalla logica per cui se c’ è qualcuno che guadagna deve esserci qualcuno che perde.
Perchè non costruirsi una propria abitazione, una graziosa villetta poco distante dal grigio condominio del PIL, in modo che qualche vano in più non lo si debba per forza ottenere a spese degli altri?
Fatto sta che è difficile, se non impossibile, avere licenze di costruzione, strappare lembi di terreno edificabile, crearsi uno spazio vivibile al di fuori del palazzo della produzione ufficiale.
Tu sai che viviamo di gesti, ma hai anche sufficiente esperienza del sistema per sapere che solo i gesti remunerati in denaro vengono premiati, e che quasi tutti gli altri sono trascurati, o addirittura frenati.
Per quale motivo dovresti alimentare un reddito non contabilizzato in denaro?
Con quale vantaggio potresti agire all’ esterno della grande casa del PIL?
Il PIL crescerà con fatica e lentamente
Per questo il PIL crescerà con fatica e più lentamente di quanto desideri.
Certo, crescerà, ma per ragioni diverse da una volontà collettiva di farlo crescere.
Crescerà perchè a qualche politico sarà piaciuto esibire una prova della sua capacità di elemosinare benessere.
Aumenterà per una naturale tendenza alla crescita delle cifre dell’ economia monetaria, per un inflazione di prezzi e di oggetti che permea il sistema.
O per effetto di numeri vuoti e leggeri, gonfiati e liberati nell’ aria come palloncini sullo sfondo di una sagra paesana.
PIL – La struttura del palazzaccio
Si incrementerà perchè qualcuno, rovistando qua e là, avrà trovato della calce e, con l’ aiuto di qualche mattone e di un pò di detriti, avrà costruito alla bell’ e meglio un altro alloggio.
Un escremento da aggiungere ai tanti che già esistono nel gigantesco e caotico condominio della produzione nazionale.
Della quale però nessuno oserà toccare le fondamenta.
Rimarrà immutata la strana e inquietante struttura del palazzaccio.
E continuerà a crescere una “cosa” più che una casa.
Nella calma di una prima mattina che ti sta regalando momenti di mesta lucidità.
Stai riflettendo sul fatto che a te, come a tutti, hanno insegnato a prendere più che a dare.
Meglio essere specialisti dell’ incasso che del gesto
Che è meglio essere specialisti dell’ incasso che del gesto.
L’ arte è quella di elargire numeri, realtà virtuali, appropriandosi di fatti e di oggetti, di cose reali.
Perchè è così che si conquista la propria fetta di PIL, che si occupa il proprio spazio in un luogo in cui, una volta entrati, ci si deve fare largo.
Ed è così che il PIL diventa la casa della prepotenza e dell’ arroganza, un posto in cui ci si guadagna la vita sottraendola a quella degli altri.
Impossibile uscire dalla gabbia se seguiamo le regole del padrone. Perché dobbiamo costruire una Nuova Economia ed una Nuova Società. di Davide Gionco
Diceva Sunt-Tzu, antico generale cinese, che scrisse “L’arte della guerra”:
“Quando il nemico ti porta a combatterlo con le armi da lui scelte, a usare il linguaggio che lui ha inventato, a farti cercare soluzioni tra le regole che lui ha imposto, hai già perso tutte le battaglie, compresa quella che avrebbe potuto vincerlo.”
La premessa fondamentale: dove risiede il vero potere politico – (Economia relazionale)
La premessa fondamentale è identificare chiaramente il nemico.
Una volta si sapeva che il nemico del popolo era il re di Francia o Benito Mussolini.
Ma oggi chi è il nemico del popolo?
Per quale ragione continuano a cambiare i partiti, i deputati, i governi eppure le cose vanno (male) sempre allo stesso modo?
Nel 2013 a Berlino Mario Draghi, allora presidente della Banca Centrale Europea, disse la famosa frase:
«L’Italia andrà avanti con le riforme indipendentemente dall’esito del voto. C’è il pilota automatico».
Il nemico del popolo, colui che detiene il vero politico ed ha la forza di imporre le proprie decisioni (il pilota automatico), sta altrove.
Non sta a Palazzo Chigi e meno che mai a Montecitorio o Palazzo Madama.
Per questo motivo nessun esito elettorale può, da solo, determinare un reale cambiamento delle politiche di governo del Paese. – (Economia relazionale)
Perché le votazioni non cambiano la situazione – (Economia relazionale)
Se il reale potere politico non è così evidente dove si trovi, è evidente a tutti che le decisioni vengono ratificate ed eseguite dagli organismi istituzionali che derivano dal voto popolare.
A metterci la faccia sono il presidente del consiglio, i vari ministri ed i parlamentari che in più occasioni sono chiamati a votare la fiducia su quanto deciso dal governo, assumendosene tutta la responsabilità davanti ai cittadini.
Per questa ragione moltissimi italiani sono convinti che sia possibile cambiare la politica in Italia cambiando quelle persone e utilizzando le “regole per il cambiamento” previste dal nostro sistema legislativo.
Queste regole, scritte nella Costituzione, nelle leggi, nei manuali di diritto, dicono che le decisioni su come funziona la nostra società le prendono il potere legislativo ed esecutivo.
Quindi per cambiare le cose la via da seguire è presentarsi alle elezioni con un partito, avere la maggioranza nel parlamento, andare al governo e votare diverse regole del gioco. – (Economia relazionale)
Questo lo pensano quasi tutti, in quanto non ci vengono prospettate altre vie per cambiare la società.
Ma poi si constata che, chiunque venga votato, alla fine dei conti dimostra di non voler realmente cambiare le cose o di non essere in grado di farlo (il luogo comune “i politici sono tutti uguali”).
L’ultima grande delusione è stata quella del Movimento 5 Stelle, che aveva suscitato molte speranze, ma che ha dimostrato nei fatti di “essere come tutti gli altri”.
Per questo motivo molta gente smette di andare a votare, ritenendola un’azione irrilevante, di fatto rinunciando a far valere i propri diritti.
Potremmo definirli, come faceva Dante, gli ignavi politici, che rinunciano ad impegnarsi e a prendere posizione.
E’ una situazione analoga al periodo delle monarchie assolute, quando la gente non votava e poteva solo sperare nella benevolenza del re, limitandosi a curare i propri affari privati, senza attendersi un cambiamento del potere politico.
C’è anche chi non va a votare per protesta, pensando che chi detiene il potere potrebbe cambiare a causa dello scarso consenso popolare.
L’errore di questo ragionamento è pensare che il potere abbia bisogno di una vasta legittimazione popolare.
Mentre in realtà il potere, come stabilito nella premessa, esiste al di sopra della politica e usa i meccanismi istituzionali (elezioni, nomina del governo, ecc.) unicamente come occasioni per piazzare i propri uomini (o donne, che fa più politicamente corretto) nei luoghi decisionali che contano.
Chi detiene il potere al massimo temerà che venga nominato un ministro non allineato (si veda il caso di Paolo Savona, impedito dal presidente Mattarella, poi sostituito dall’allineato Giovanni Tria).
Oppure un primo ministro non totalmente controllabile (Silvio Berlusconi Conte sostituito da Mario Monti).
Di certo non teme l’astensione dal voto.
La maggior parte delle persone che si impegnano in politica pensano che l’unica via di uscita dalla gabbia sia quella scritta nelle regole:
Presentarsi alle elezioni con un partito, prendere la maggioranza nel parlamento, andare al governo e cambiare le regole del gioco.
Dal punto di vista teorico questo metodo potrebbe funzionare, ma all’atto pratico la storia, non solo italiana, ci dimostra che è estremamente difficile, quasi impossibile.
La prima ragione, evidente, è che le regole del gioco sono truccate
Chi detiene il potere politico dispone di cospicui finanziamenti, dell’appoggio delle istituzioni e dei servizi segreti, dei principali mezzi di informazione (i quali non si fanno problemi a diffondere falsità di ogni genere).
Inoltre, chi detiene il potere politico decide le regole elettorali, le date, gli ostacoli da porre a chi vorrebbe cambiare.
E può usare questi mezzi non solo per favorire i partiti già presenti in parlamento, ma anche per creare nuovi partiti da loro controllati che si propongono fintamente come “alternativi”.
Ad esempio seminare divisioni, tramite infiltrati, nelle forze politiche realmente alternative. – (Economia relazionale)
Possono decidere di concedere spazi mediatici a persone incapaci come Luigi Di Maio, per farle emergere all’interno del loro partito alternativo.
Ed anche di non concedere spazi a persone capaci, per non farle emergere.
Ovviamente possono corrompere i politici eletti.
Oppure li possono ricattare o minacciare. O uccidere.
E se anche le elezioni non andassero come il potere voleva, potranno orchestrare campagne mediatiche contro il nuovo potere politico (vedasi il trattamento subito da Trump negli USA), potranno organizzare attentati destabilizzanti (vedasi strategia della tensione in Italia intorno agli anni 1970).
Potranno organizzare un colpo di stato o una invasione armata da parte di una “coalizione internazionale” che libererà l’Italia dal potere antidemocratico”.
Insomma, questa via è teoricamente percorribile, ma c’è da sapere che le regole sono truccate e gli ostacoli da superare sono moltissimi.
E’ ovvio che se una forza politica riuscisse a conquistare e a mantenere per molti anni la fiducia del 40-50% degli elettori, senza dividersi e senza cedere ai fortissimi condizionamenti esterni ed interni, potrebbe esistere la fattiva possibilità di cambiare le cose in meglio e di limitare l’invadenza dei poteri che stanno al di sopra della politica.
Ma rileggiamo cosa diceva il saggio Sun-Tzu:
“Quando il nemico ti porta a combatterlo con le armi da lui scelte, a usare il linguaggio che lui ha inventato, a farti cercare soluzioni tra le regole che lui ha imposto, hai già perso tutte le battaglie, compresa quella che avrebbe potuto vincerlo.”
Pensare di risolvere i problemi usando le regole che l’attuale sistema di potere ci ha imposto significa mettersi in condizioni estremamente favorevoli per chi detiene il potere ed estremamente sfavorevoli per chi intende contrastarlo.
In realtà il fondamento dell’attuale sistema di potere è il farci credere che non vi siano altre vie da percorrere diverse dalle regole che ci mettono a disposizione.
E’ come quando il gatto gioca con il topo che ha catturato. Il topo può scappare solo quando lo decide il gatto, nella direzione che decide il gatto, fino alla distanza decisa dal gatto.
Dopo di che il topo viene ricatturato e ritorna alla mercé del gatto.
Siamo come i polli nella gabbia, a cui viene concesso spazio di libertà fino ai limiti della rete.
E se anche le porte della gabbia sono aperte, ci hanno convinti che la spazio in cui muoverci, che fuor di metafora è il sistema di regole vigenti, sia quello all’interno della gabbia.
In realtà esistono altre strade da seguire per sottrarci gradualmente dal potere che ci opprime, ma è necessario fare lo sforzo di uscire dagli schemi che ci vengono proposti.
A volte se ne parla in articoli, in convegni, ma ad ogni tornata elettorale si presentano i soliti “leader politici” che si propongono come risolutori dei problemi, per i quali l’unica urgenza è presentarsi alle elezioni.
E le persone li seguono, perché il “richiamo delle elezioni” è fortissimo, al punto che le persone trovano energie per estenuanti riunioni, banchetti in strada, incontri pubblici, con la speranza di essere essi stessi i protagonisti del cambiamento politico tanto atteso.
Dopo di che, passate le elezioni, con conseguente – ovvia – delusione, i più determinati si preparano per la successiva competizione elettorale.
Mentre i meno determinati si scoraggiano e si ritirano da ogni forma di impegno politico, accrescendo le fila delle persone appartenenti alla categoria degli ignavi politici.
Sarebbe stato possibile impegnarsi per percorrere delle soluzioni alternative (ne parliamo a seguire).
Ma si è preferito combattere con gli strumenti proposti da chi detiene il potere (nel caso specifico: lo strumento delle elezioni), adeguandosi al pensiero unico dominante.
Alla fine il risultato è stata una forte delusione e nessun cambiamento politico e sociale.
Il vero potere sta nell’economia – (Economia relazionale)
Ci chiedevamo all’inizio dell’articolo dove sta il potere politico.
Il potere politico nei paesi occidentali sta prima di tutto nell’economia, nelle grandi multinazionali, nella finanza internazionale.
Oggi l’economia è costituita per lo più da società per azioni quotate in borsa.
Chi controlla le quote azionarie controlla queste società e determina le loro decisioni.
Le quote azionarie sono detenute da chi possiede molto denaro ovvero dalle grandi società finanziarie, come BlackRock, Vanguard, State Street, le quali da sole ogni anno investono capitali per oltre 20 mila miliardi di dollari, pari a 11 volte il PIL italiano e 5 volte il PIL tedesco.
Sono quindi in grado di “investire” per comperare qualsiasi impresa, qualsiasi giornale e qualsiasi persona per indirizzare le loro decisioni al fine di garantire le rendite degli investitori.
Siccome l’Italia ha aderito al WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) che prevede la libera circolazione dei capitali, questi capitali possono liberamente entrare in Italia per comprare, aprire o chiudere imprese, creando o distruggendo posti di lavoro.
Possono decidere di fare aumentare i prezzi dell’energia e del cibo.
Inoltre, sono in grado di decidere di boicottare un intero Paese, se non risponde alle loro richieste.
Possono comperare le testate giornalistiche e le televisioni, imponendo loro di raccontare una falsa narrativa su cosa accade nel mondo.
Inoltre è possibile mettere in piedi un partito politico, trovando dei prestanome per guidarlo.
Ovviamente possono anche fare pressioni per far nominare un proprio uomo all’interno della BCE, dell’OMS, della Commissione Europea e imporre regole a loro vantaggio.
Ma non dobbiamo fissarci sui nomi di queste società, perché dietro di loro ci sono migliaia di società più piccole, ci sono milioni di investitori in tutto il mondo i quali richiedono solo una cosa: far rendere i propri investimenti finanziari, senza preoccuparsi di come questo avverrà.
In nome del “dio rendimento finanziario” ogni azione che garantisca una rendita è lecita, che si tratti di far scoppiare una guerra o di imporre all’Italia una riforma fiscale che colpisca le proprietà degli immobili o che riduca le pensioni.
Il potere del denaro: questo è il potere che domina la politica, anche in Italia, a cui difficilmente il potere politico istituzionale, votato dal popolo, è in grado di opporsi.
Il punto debole del sistema di potere e come fare la vera rivoluzione – (Economia relazionale)
Tuttavia esiste un punto debole del sistema di potere.
Chi detiene il potere oggi detiene molto denaro, tuttavia il denaro assume valore solo nella misura in cui noi lo accettiamo in cambio del nostro lavoro.
Di per sé sono solo pezzi di carta, numeri scritti sui computer.
La quasi totalità della ricchezza reale, costituita dalla produzione di beni e servizi, è prodotta da noi stessi.
Chi possiede molto denaro in realtà non produce nulla.
Se chi detiene il denaro (euro, dollari, ecc.) non lo potesse usare per comperare il nostro lavoro e se noi non utilizzassimo quel denaro per acquistare ciò che ci serve per vivere, quel denaro cesserebbe di avere valore.
E cesserebbe il potere di chi possiede quel denaro, compreso il potere di determinare le decisioni politiche.
La regola del gioco che ci fa perdere tutte le battaglie (Sun-Tzu) è che siamo noi stessi a dare valore, usandolo, allo strumento che il nemico utilizza per sconfiggerci in ogni nostra battaglia politica.
La vera rivoluzione, quindi, sta nel prendere atto che l’attuale denaro che utilizziamo è uno strumento utilizzato per estrarre ricchezza reale da noi che lavoriamo, concentrandola nelle mani di pochi e rendendoci sempre più poveri.
Noi non sappiamo fare a meno di esso, dato che lo usiamo per vivere e questo gli conferisce valore nell’economia e anche nella competizione politica, il tutto a nostro svantaggio.
Ci sarà la vera rivoluzione, rivoluzione politica, solo quando ci saremo organizzati per vivere senza dipendere dal “loro” denaro.
Dobbiamo organizzare una Nuova Economia, una Nuova Società, con una nostra moneta, dove produciamo beni e servizi e ce li scambiamo fra di noi usando quella moneta per pagare gli scambi.
E già quello che facciamo oggi, ma lo dobbiamo fare rifiutandoci di usare, per quanto possibile, le monete della finanza internazionale, che sono lo strumento fondamentale dell’esercizio del potere che ci opprime.
Ovviamente il passaggio sarà graduale.
All’inizio la rivoluzione riguarderà magari solo il 10% degli scambi economici.
Ma poco alla volta, man mano che più persone e più competenze professionali saranno state coinvolte nell’organizzazione, potremo via procurarci all’interno della Nuova Economia una quantità maggiore di beni e servizi.
Parallelamente alla comunità economica, fatta di persone che hanno capito come disinnescare il meccanismo del potere, crescerà la comunità sociale, formata dalle persone che sono determinate a realizzare un reale cambiamento politico nel Paese.
A quel punto, quando ci si presenterà alle elezioni, non si presenterà solo un partito, ma si presenterà una comunità economica e sociale, che dispone dei propri mezzi di informazione, di una vasta presenza sul territorio, già presente negli enti locali.
Il cambiamento politico, anche nelle istituzioni, sarà quindi una conseguenza del cambiamento sociale ed economico e non viceversa, come pensano coloro che oggi vorrebbero risolvere tutti i problemi presentandosi alle elezioni.
Le emergenze come metodo – (Economia relazionale)
Chi detiene il potere non solo ha il potere di determinare le decisioni politiche, ma anche il potere di determinare l’agenda di coloro che intendono opporsi al sistema.
Se si limitassero a governare male il Paese, la gente potrebbe, poco alla volta, organizzare una vera alternativa politica, che rappresenterebbe un potenziale pericolo per il potere costituito.
Per evitare questo problema da qualche decennio utilizzano il metodo dell’emergenza.
Oramai la nostra vita è fatta di emergenze che ci vengono presentate dai mezzi di informazione al fine di spaventarci.
Non si tratta solo di emergenze inventate, ma anche di emergenze reali, causate dalle decisioni del potere politico che conta.
La gente non ha tempo da investire per organizzare il cambiamento politico generale, per liberare il popolo dall’oppressione dei poteri finanziari, in quanto è spinta a concentrare la propria azione per difendersi da singole emergenze.
Chi determina le emergenze sa benissimo come la gente reagirà.
Sanno che se verrà imposto l’obbligo vaccinale, pena la perdita del posto di lavoro, la gente spenderà energie per andare in piazza a protestare.
Ma loro non temono le proteste in piazza, perché le proteste da sole non organizzano alcun cambiamento.
Sanno che se la gente è più povera dovrà dedicare più tempo a lavorare, per mantenere la propria famiglia, senza trovare il tempo da dedicare al cambiamento politico.
Inoltre, sanno che la gente penserà di organizzarsi per le prossime elezioni, ma non lo temono, per i motivi che abbiamo spiegato sopra.
E’ il principio di azione e reazione.
Mettono in atto le azioni che comporteranno, istintivamente, certe reazioni nel popolo, reazioni da cui non hanno nulla da temere.
Sono loro che determinano la nostra agenda, in modo che nessuno si organizzi veramente per cambiare il sistema di potere.
Rileggiamo di nuovo a Sun-Tzu:
“Quando il nemico ti porta a combatterlo con le armi da lui scelte, a usare il linguaggio che lui ha inventato, a farti cercare soluzioni tra le regole che lui ha imposto, hai già perso tutte le battaglie, compresa quella che avrebbe potuto vincerlo.”
Se ci lasciamo imporre l’agenda da loro, ci porteranno a combattere dove sanno già che saranno loro a vincere.
Non dobbiamo cadere nel loro gioco.
Dobbiamo certamente difenderci dai soprusi, ma senza dimenticare che è con “altri metodi” che vinceremo le battaglie.
Inoltre, dobbiamo determinare la nostra agenda dei cambiamenti e portarla avanti, nonostante le emergenze che ci scaglieranno addosso.
Conclusioni – (Economia relazionale)
Con quanto scritto non intendo sostenere che sia totalmente inutile presentarsi alle elezioni ed andare a votare.
Invece intendo sostenere che, se limitiamo la nostra reazione alle regole “classiche” della politica, non avremo la minima possibilità di successo.
Invece è necessario mettere in atto delle azioni che incidano quotidianamente sul sistema di potere finanziario.
Aumentando la presenza di una nostra “Nuova Economia” in grado di esistere facendo a meno della “loro moneta”.
Diceva Padre Alex Zanotelli che “noi votiamo ogni volta che facciamo la spesa“.
Aggiungo io che “noi votiamo ogni volta che vendiamo il nostro lavoro“.
Ogni volta che usiamo lo stesso denaro che usano le multinazionali per governare l’economia mondiale e per imporre decisioni politiche ai vari popoli, noi conferiamo valore a quel denaro e conferiamo potere alle multinazionali.
Eppure il cambiamento dipende solo da noi, perché siamo noi a decidere a chi vendere il nostro lavoro e da chi comperare i beni e servizi che ci servono per vivere. – (Economia relazionale)
E noi non abbiamo bisogno del loro denaro per vivere, ma dei beni e servizi che ci sono necessari, che possiamo ottenere anche in cambio della nostra moneta, senza usare la loro.
Sono queste nostre decisioni quotidiane che possono, poco alla volta, ridurre il potere della finanza internazionale e aumentare il potere della nostra comunità economica, sociale e (quindi) politica.
Ora si tratta di organizzarci in modo da sapere chi è disposto a cambiare il proprio modo di fare acquisto e il proprio modo di vendere il proprio lavoro.
Non possiamo scrivere i dettagli di un progetto del genere in un articolo, ma abbiamo già delle idee.
Chi vuole partecipare alla costruzione della Nuova Società e della Nuova Economia, ci contatti.
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