Mai tanti disoccupati in Italia, e sono raddoppiati rispetto al 1977.
L’Istat proprio in questi giorni ha completato il recupero dei dati per la serie storica sulla disoccupazione.
E il risultato sconfortante dei numeri dice che la crisi degli ultimi anni è la peggiore dagli anni Settanta a oggi. Rimane disoccupato il 35% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni.
Certo, non siamo ancora al 61% di disoccupazione giovanile come in Grecia, o al 56% della Spagna. Quelle sembrano realtà lontane, ma non è così.
Il vero dato preoccupante è, come sempre, l’abisso tra chi ha e chi non ha, tra la fascia più benestante e quella più povera.
Il vero dato preoccupante della situazione italiana è il 50% della disoccupazione giovanile del Mezzogiorno.
Se come media nazionale siamo al 35%, questo vuol dire che la differenza tra nord e sud Italia è abissale e indicatrice di un diffuso malessere sociale. Lo stesso abisso è presente in Europa: da un lato abbiamo Grecia e Spagna, con un tasso di disoccupazione giovanile intorno al 60%, dall’altro abbiamo Germania, Austria e Olanda con un tasso inferiore al 10%.
Questa è la dura legge del libero mercato: chi va avanti lo fa anche a danno di chi è meno bravo o meno fortunato (o ha meno strutture).
Ma questa legge è la stessa che circa cento anni fa elaborò l’economista Vilfredo Pareto, da cui prese il nome la “distribuzione paretiana”, cioè quella rilevazione sociale ed economica per cui si scoprì che il 20% della popolazione più ricca possedeva l’80% delle ricchezze, anche in paesi molto diversi per condizione economica, fiscale e sociale.
Non è un caso se la Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli, nel 2012 ha avuto il proprio miglior risultato di sempre: proprio mentre in Italia il Pil risultava in calo del 2,5%.
Si tratta di una sorta di costante universale, che dipendeva e dipende (ma Pareto non poteva saperlo) dalla struttura frattale della finanza e dell’economia.
Conoscenze che la classe dominante di economisti e politici ha bellamente ignorato, poiché gravemente collusa col potere finanziario, ben contento di approfittare degli squilibri generati anche dal “libero mercato”, favorito e diffuso a danno del bene comune.
Certo, non solo il libero mercato è responsabile del disastro attuale, anche la mala gestione politica ed economica insieme agli sprechi hanno avuto la loro bella fetta di
responsabilità. Ma questo riguarda il passato.
Oggi il sopravvento è stato preso decisamente dalle forze della finanza speculativa, le forze (finanziarie e intellettuali) sostenitrici di quel libero mercato che provoca i danni più gravi.
Si tratta di quel libero mercato per cui oggi (ma non da ieri) un imprenditore è “libero” di chiudere la propria azienda in Italia e trasferire la produzione in un Paese dove il costo del lavoro è inferiore anche perché le garanzie per i lavoratori sono inferiori.
Questa libertà senza criteri e senza valori è diventata di fatto la libertà di far prevalere un modello di società dove ha la prevalenza il profitto sui diritti (dei lavoratori) e sul bene comune, complice la cecità sociale degli imprenditori (e dei politici e delle Parti sociali) che hanno scavato la fossa per il loro futuro: l’esportazione della produzione ha portato anche all’importazione della disoccupazione, insieme al calo della capacità di spesa e alla crisi che si prepara a peggiorare sempre di più.
Non contenti del fallimento ideologico, economisti e politici hanno continuato ad applicare la loro ricetta fallimentare: il danno lo paghi lo Stato, cioè paghino tutti i cittadini.
Invece di fermare il contagio e confinarlo nella finanza, lo hanno diffuso a tutti i livelli per attenuare il rischio (il loro rischio) e mantenere inalterati i loro profitti.
Ma quel modello ormai non funziona più, se mai ha funzionato per un breve periodo, magari drogando i mercati e l’economia con l’eccesso di moneta. Se ne sono accorti tutti (o quasi…): perfino il Commissario europeo per le Politiche Monetarie Olli Rehn ha affermato che occorre rallentare il rigore di politiche fiscali che deprimono l’economia e non risolvono il problema del debito.
Ma questa è di fatto una cattiva notizia; vuol dire che qualcuno di questi signori si illude ancora di poter fare qualcosa per la crisi economica.
Ma hanno già fatto di tutto, e il risultato è sotto i nostri occhi.
Poco più di un anno fa, occorre ricordarlo, la Bce ha prestato oltre 1000 miliardi di euro (una cifra che un comune cittadino fa fatica solo a pensare) al sistema bancario europeo sull’orlo del fallimento. Un prestito al tasso di favore dell’1%, per tre anni. E a cosa è servito?
A luglio scorso Mario Draghi spergiurava che la Bce avrebbe fatto di tutto per difendere l’euro: e con tono da film western tipo “Sfida all’OK Corrall” aveva aggiunto “…e credetemi, sarà abbastanza”. “Abbastanza” ora lo stiamo vedendo cosa vuol dire: in Spagna vi sono la cifra pazzesca di 6 milioni di disoccupati.
Per fare un paragone, in Francia i disoccupati sono poco più di 3 milioni, in Italia sono poco meno di 3 milioni.
Ma l’Italia ha 60 milioni di abitanti, in Francia sono circa 65 milioni; mentre in Spagna sono appena 46 milioni.
Ci si può meravigliare se mille di questi disoccupati spagnoli hanno assediato il Parlamento, tanto che la polizia è dovuta intervenire con una serie di cariche e ha arrestato cinque dimostranti?
E tutto questo è iniziato con l’eccesso di moneta fornito dal sistema delle banche centrali e finito nei mercati finanziari.
Questo eccesso, dannoso come tutti gli eccessi, ha aperto la strada alla continua emorragia di moneta dall’economia reale alla finanza.
L’eccesso di moneta sui mercati finanziari ha creato un eccesso di profitti, tanto da attrarre moneta che prima era impiegata nell’economia reale.
Una emorragia crescente, che ormai nemmeno la stampa di nuova moneta riesce a colmare. Si è cercato di tamponare il problema, con un nuovo eccesso di moneta, ma quella era e rimane la strada sbagliata, la strada degli eccessi: di moneta, di libero mercato, di potere.
E l’eccesso di moneta alla fine ha accentuato i problemi. I disoccupati nell’Ue dei 27 paesi sono aumentati di 1,89 milioni, ma nei 17 paesi dell’eurozona sono aumentati di 1,909 milioni. In altre parole, i paesi europei con moneta nazionale hanno visto un leggero calo della disoccupazione, mentre quelli con moneta euro hanno visto un aumento di 1,9 milioni di disoccupati.
Occorre tornare quanto prima alla difesa del bene comune, e il primo bene comune è la presenza di uno Stato forte.
Per questo, ancora di più in un momento di crisi economica, è necessaria una moneta di Stato. Occorre tornare alla moneta nazionale.
Nell’immediato non vi sono altre strade.
Ogni altra strada porterà al collasso dello Stato, alla perdita progressiva della sovranità nazionale alla ricerca di una soluzione che a livello europeo non vi può essere.
Lo ha affermato pure Angela Merkel, nel giro di due giorni.
Prima ha affermato che “i paesi dell’Eurozona devono prepararsi a cedere la propria sovranità”.
E il giorno dopo, riguardo alla possibilità che la Bce di Draghi possa tagliare il tasso di interesse sulla moneta, ha convenuto che “ci vorrebbero alti tassi per la Germania e bassi tassi per gli altri paesi”.
In ogni caso, il destino della Bce è segnato: prenderanno una decisione che porterà alla rovina qualche Paese.
Possiamo ancora permetterci di rinunciare a una moneta nazionale?
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