Delibera assembleare annullata? L’amministratore può impugnare autonomamente la sentenza
Avv. Alessandro Gallucci scrive…
Se un condomino impugna una deliberazione assembleare e il giudice gli dà ragione, l’amministratore, tanto per il giudizio d’appello, tanto per quello di Cassazione, può decidere autonomamente di proporre impugnazione.
Questa, in estrema sintesi, la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 1451 del 23 gennaio 2014. La pronuncia degli ermellini merita di essere segnalata perché porta chiarezza su una materia, quella dell’impugnazione delle sentenze riguardanti impugnazione di delibere assembleari, sulle quali iniziava ad intravedersi una qualche confusione giurisprudenziale.
Il caso è di quelli ricorrentissimi. Un condomino impugna una delibera e successivamente la causa va avanti fino alla Corte di Cassazione. Il giudizio di legittimità viene introdotto dal condominio che, in appello, aveva avuto la peggio. A quel punto il condomino, con controricorso, eccepisce la carenza di legittimazione dell’amministratore: egli aveva agito senza autorizzazione, o quanto meno ratifica, dell’assemblea.
In effetti a partire dal 2010 – anno in cui le Sezioni Unite, nel mese di agosto, pronunciarono le sentenze nn. 18331 e 18332 sulla legittimazione attiva e passiva dell’amministratore condominiale – non erano mancate pronunce secondo le quali l’amministratore doveva essere considerato carente di legittimazione a proporre impugnazione (anche attraverso ricorso per cassazione) avverso la sentenza sfavorevoli pronunciate nell’ambito di procedimenti aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere assembleari.
Vale la pena ricordare che con le sentenze testé citate le Sezioni Unite specificarono che nell’ambito delle materie esulanti le proprie attribuzioni, l’amministratore poteva resistere in giudizio o proporre appelli o ricorsi per Cassazione solamente con il consenso dell’assemblea o, comunque, ottenendo la ratifica del proprio operato. Tale ultima ipotesi era considerata lecita per evitare che gli adempimenti relativi alla convocazione dell’assemblea potessero entrare in rotta di collisione con i tempi processuali.
Queste modalità d’azione, però, non riguardano le cause inerenti le impugnazioni delle delibere. Motivo? La Cassazione, con la sentenza n. 1451, ricorda che tali controversie rientrano nelle attribuzioni dell’amministratore che, ai sensi dell’art. 1130 n. 1 c.c., deve dare esecuzione alle delibere assembleari e, di conseguenze, difenderne l’efficacia in tutte le sedi.
E per quelle sentenze, sempre di legittimità, nelle quali si diceva che l’impugnazione per Cassazione della sentenza sfavorevole (riguardante l’impugnazione della delibera) era necessaria una decisione (anche di ratifica dell’assemblea)?
Beh, dicono gli ermellini, i nostri colleghi si sono sbagliati!
Si legge in sentenza che “non è mancato un orientamento di segno diverso, essendosi talora ritenuto, sulla scorta di una lettura ampia della pronuncia delle Sezioni Unite, che, anche nell’ambito della propria sfera di competenza, l’amministratore debba premunirsi di apposita autorizzazione dell’assemblea, avendo, in mancanza, l’onere di far ratificare il proprio operato dall’assemblea, pena la inammissibilità della costituzione da lui autonomamente effettuata, o la inammissibilità dell’impugnazione da lui proposta: e cosi – in controversia riguardante l’impugnazione di delibera assembleare da parte del condomino – si è assegnato (Sez. II, 25 febbraio 2011, n. 4733) un termine al condominio controricorrente, ai sensi dell’art. 182, secondo comma, cod. proc. civ., al fine di consentirgli la produzione dell’autorizzazione dell’assemblea, considerata necessaria per la valida costituzione del condominio stesso” (Cass. 23 gennaio 2014 n. 1451).
Tuttavia, prosegue la Corte demolendo quest’ultima presa di posizione, bisogna considerare che “nella propria sfera di competenze (ordinarie o incrementate dall’assemblea), l’amministratore è munito di poteri di rappresentanza processuale ad agire e resistere senza necessità di alcuna autorizzazione. Come ha osservato il pubblico ministero in sede di discussione del ricorso, sarebbe infatti veramente defatigatorio, nell’ottica di un assurdo "iperassemblearismo", che l’amministratore fosse costretto a convocare ogni volta i condomini al fine di ottenere il nulla osta, ad esempio, per agire o resistere al monitorio sul pagamento degli oneri condominiali, o al giudizio per far osservare il regolamento, o all’impugnativa di una statuizione assembleare, oppure al fine di sperare nella ratifica riguardo ad un procedimento cautelare volto a conservare le parti comuni dello stabile” (Cass. 23 gennaio 2014 n. 1451).
“Iperassembleismo” da evitarsi e quindi riconoscimento all’amministratore di un ruolo che non sua relegato alla mera esecuzione di decisioni dell’assise ma anche di gestore fattivo della compagine.
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