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Le spese condominiali possono essere ripartite anche in assenza delle tabelle millesimali, ma un condomino può impugnare la deliberazione, a condizione che indichi in quali esatti termini, da tale ripartizione, gli derivi un pregiudizio concreto e attuale.
La Corte di cassazione (sentenza 2237/2012) ha stabilito che la ripartizione di una spesa condominiale può essere deliberata anche in mancanza di un’appropriata tabella millesimale, purché nel rispetto della proporzione tra la quota di essa posta a carico di ciascun condomino e la quota di proprietà esclusiva a questi appartenente, dato che il criterio per determinare le singole quote preesiste ed è indipendente dalla formazione della tabella, derivando dal rapporto tra il valore della proprietà singola e quello dell’intero edificio.
Il condomino, poi, se ritiene che la ripartizione della spesa sia stata effettuata in contrasto con tale criterio, è tenuto a impugnare la deliberazione indicando in maniera dettagliata come la violazione di esso abbia avuto luogo e quale danno gliene derivi.
Nella fattispecie, secondo i giudici di legittimità, che hanno respinto il ricorso, la Corte di merito aveva evidenziato che i condomini ricorrenti non avevano indicato per quali concreti motivi, con riferimento alla violazione di specifici parametri tecnici, la ripartizione di spesa approvata dall’assemblea fosse lesiva dei loro diritti, per cui la domanda, presentandosi generica per indeterminatezza della questione già posta in sede di merito, riprodotta negli stessi termini nel ricorso, rappresentava motivo di inammissibilità della doglianza.
Infatti, essa non era formulata in modo da consentire al giudice di legittimità la valutazione, sia pure in astratto, della questione ai fini di una pronuncia sulla controversia in senso difforme da quella cui è pervenuto il giudice del merito.
Gli stessi giudici hanno sempre riconosciuto legittima la ripartizione in via provvisoria degli acconti delle spese secondo le quote risultanti da una tabella non approvata all’unanimità (Cassazione, sentenza 7731/1990), così come hanno stabilito che, in ogni caso, il singolo condomino non può sottrarsi al pagamento delle spese con il pretesto della mancanza di una tabella approvata (Cassazione, sentenza 9107/1992).
Invero, il valore della singola proprietà rapportato al valore dell’intero edificio (quota millesimale) esprime un rapporto matematicamente accertato, tradotto in frazione millesimale, che esiste prima e indipendentemente dalla formazione della tabella millesimale: tanto che, laddove non siano presenti, i valori delle singole unità immobiliari possono essere determinati, per esempio, con riferimento al numero dei vani di ciascun appartamento o in base alla superficie di ciascun appartamento o ad altri criteri ancora, «in quanto la tabella agevola, ma non condiziona, lo svolgimento dell’assemblea e, in genere, la gestione del condominio»; pertanto, «anche a posteriori e in giudizio, si potrà verificare se le maggioranze richieste per la costituzione dell’assemblea e i quorum deliberativi sono stati raggiunti» (Cassazione, 1946/ 1978).
Infine, sempre in tema di tabelle, nel caso in cui esse siano vecchie e non più attendibili, chi ha approfittato dell’errore (per esempio perché, non risultando in tabella per errore, non ha mai pagato) può essere chiamato a pagare la differenza sul passato. In questo caso il condominio, per ottenere il pagamento delle quote arretrate, deve promuovere l’azione d’indebito arricchimento nei confronti del condomino che ha fruito di tale vantaggio, poiché la sentenza che accoglie la domanda di revisione o modifica della tabella non ha natura dichiarativa ma costitutiva, e l’efficacia di tale sentenza, in mancanza di specifica disposizione di legge contraria, inizia a decorrere solo dal passaggio in giudicato (Cassazione, 8 settembre 1994, n. 7696) non avendo efficacia retroattiva (Cassazione, sentenza 5690/2011).