La società va in crisi, il welfare in mille pezzi e la solitudine urbana avanza? Per fortuna c’è ancora un’ultima risorsa di calore umano rimasta: il condominio. Posto tra la claustrofobica famiglia e il vasto mondo ostile, il condominio sta diventando lentamente quella terra di mezzo in cui ricominciare a mettere in pratica abbozzi di conversazioni trasversali, rudimentali esperimenti di socialità condivisa, persino – sempre di più – tentativi di rapporti umani sotto il segno dell’affetto vero e proprio.
E pensare che fino a poco tempo fa la parola “condominio” evocava solo burocratiche riunioni, asfissianti problemi pratici, decennali rancori per futili motivi. Si entrava nel portone quasi furtivamente, salendo le scale o ficcandosi nell’ascensore nel tentativo di non incontrare nessuno. Si viveva ignorando completamente, o quasi, chi abitasse proprio dieci centimetri di muro oltre il proprio, chi fosse e cosa facesse il dirimpettataio, tanto che persone e famiglie si avvicendavano nell’indifferenza più completa. A parte lo scambio di targhetta e il tipo di pianta di fronte alla porta tutto restava celato nel silenzio, manco si svolgessero negli appartamenti attività segrete di spionaggio e non le banalissime, umane attività: cucinare, chiacchierare, mangiare, sbracarsi sul divano, dormire. Il non sapere alimentava strane leggende metropolitane, anzi palazzinare, sulla abitudini e i gusti dei condomini – il serpente in casa, l’ospite inquietante e così via – forse nel tentativo di rendere romantica la meno romantica delle realtà. Perché appunto tra le quattro mura, spogliati dei nostri abiti pubblici e impigiamati, mostriamo la nostra più prosaica, altro che poetica, vulnerabilità.
Unici segni pubblici di cambiamenti epocali? Timidi fiocchi rosa o celesti appesi quasi timidamente (un bambino nel palazzo? Boh di chi sarà) e poi qualche carro funebre in cui si incappava scendendo a buttare la spazzatura (il vecchietto del sesto piano? L’acida signora del quarto? Boh).
Un tempo evocava solo burocratiche riunioni e rancori decennali per futili motivi. Poi, con la crisi, il condominio ha vissuto la sua rivincita. Il welfare andava in pezzi? La pace col sig. Rossi era fatta. Il governo annunciava misure draconiane? Di corsa dalla signora di sopra a portare la torta. I condòmini si riscoprono esseri umani simili. D’altronde, quale maggiore intimità che scaricare nella stessa colonna?
Poi è arrivata la Grande Crisi, i tagli a destra e manca, la fine della politica e così via. Così, mano mano che l’esercito nemico avanzava, il condominio viveva il suo riscatto. Il premier di turno annunciava che non c’era più una lira? Incontrando l’odiato sig. Rossi si biascicava un mezzo saluto. Il ministro della salute annunciava rampante la chiusura di un ospedale su due? Improvvisamente la signora con la carrozzina diventava visibile, e ci si affrettava ad aprirle la porta dell’ascensore per aiutarla a scendere. Un’altra manovra in arrivo? Quasi quasi evito di scatenare l’ennesima zuffa col tizio che tiene il televisore alto. Mi metto i tappi e via.
Piano piano gli abitanti del palazzo hanno cominciato a capire che anche gli altri avevano due gambe e due braccia e un naso, insomma – forse – non erano tanto dissimili. In fondo, si è più intimi con quelli che hanno la stessa colonna di scarico che con estranei provenienti dall’esterno, barbari stranieri. Tutto quell’affanno nel catapultarsi fuori in cerca di relazioni sociali, quando nel raggio di pochi metri c’è tanta varia umanità! E perché uscire per buttarsi nel traffico stressante a portare il bambino dall’amichetto, quando sopra c’è un altro bambino che sta per uscire anche lui per andare nel traffico a cercare l’amichetto e idem di sotto?
Nuova riunione condominiale
Con la benedizione della nuova riforma del condominio (una delle poche riforme di questi tempi antiriforma), e dotato persino di una sua festa nazionale, il palazzo si è trasformato nella nuova cittadella comune, dove persino gli animali ora sono cittadini a pieno titolo, dove le coppie di fatto godono degli stessi diritti di quelle sposate e gli immigrati pure.
Già si intravedono nuove ardite pratiche comuni: babysitter condivise – che non ha senso tenerne una per bambino una sopra l’altra – terrazzi condominiali finalmente dotati di piante e gazebo per leggere e chiacchierare, cortili restituiti ai ragazzini e dove stressati manager praticano la giardinaggio-terapia. Io sogno, ad esempio, che a turno si cucini: che so, una zuppa, un primo, un arrosto e lo si distribuisca a tutti, in modo da mettersi ai fornelli solo una sera a settimana. Che tanto a buttare due etti o due chili di basta tanta differenza non fa.
Insomma, nuovi condomìni crescono. Meno arditi dei co-housing, veri e propri villaggi dove tutto è condiviso, ma con molto più pathos del solipsismo metropolitano di un tempo. E parecchia fantasia. Raccontateci come state vivendo la mutazione antropologica del secolo. E soprattutto, se nel vostro condominio avvengono buffi esperimenti, curiose attività condivise. Magari possiamo metterle in pratica anche noi. Tanto più che ormai il sig. Bianchi, invece di arrivare carico di rabbia e pronto alla guerra. arriva col narghilé della pace e carico di beneauguranti doni. Quasi quasi, w la crisi.
Oggi i condomini sono le nuove micro-polis. E avanzano nuove, ardite, pratiche condivise, dalla babysitter condivisa, al terrazzo col gazebo al cortile dove i manager stressati praticano la giardinaggio-terapia. E voi lo fate nuovo, e soprattutto strano? Raccontateci cosa succede nella vostra palazzo-tribù
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