L’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso amministratore di condominio per l’attività svolta.
Questa disposizione, dal 18 giugno 2013, è obbligatoria per tutti gli amministratori di condominio.
Non esiste un tariffario al quale fare riferimento per determinare il compenso dell’amministratore di condominio.
Né esiste una disciplina legale che stabilisca le retribuzioni da riconoscere a questa categoria professionale.
Questa lacuna del sistema ha spesso comportato degli abusi ed ha anche causato delle liti fra i condòmini e gli amministratori medesimi.
Anche per questo la riforma del diritto condominiale attuata con la Legge 11 dicembre 2012, n. 220, ha dettato in materia delle norme che possono essere utili.
Gratuità ed onerosità dell’incarico
Innanzitutto, viene stabilito [1] che fra i compiti dell’assemblea rientra quello di nominare l’amministratore e di indicare la sua eventuale retribuzione.
Nella norma citata è importante soprattutto l’utilizzo dell’aggettivo “eventuale”.
Infatti con l’uso di questo aggettivo la legge ha voluto dire che l’assemblea può prevedere un incarico completamente gratuito per l’amministratore.
In questo caso egli, se accetta la deliberazione assembleare, per l’opera svolta non potrà richiedere il pagamento di alcun corrispettivo ma solo – al più – un rimborso delle spese sostenute.
Così in genere, la gratuità del mandato all’amministratore viene prevista quando questo ruolo è ricoperto da uno dei condòmini.
Onerosità dell’incarico e modi di determinazione del compenso
Quando l’assemblea prevede invece che l’opera dell’amministratore vada retribuita, occorre procedere con la quantificazione del compenso da assegnare al medesimo.
Il compenso deve essere ratificato nel verbale assembleare di nomina e deve essere determinato per tutto l’anno di servizio.
I problemi sono essenzialmente due.
Il primo riguarda i criteri in base ai quali individuare il compenso da pagare.
Il secondo riguarda invece le modalità con le quali, in attuazione di questi criteri, è possibile individuare la somma dovuta.
In linea generale, in mancanza di norme apposite, per quanto riguarda i criteri utili alla determinazione del corrispettivo si ritiene che i principali parametri usati nella pratica siano i seguenti:
Parametri per quantificare il compenso amministratore di condominio
– la grandezza del condominio da amministrare;
– il numero dei condòmini;
– le difficoltà connesse all’edificio comune (ad esempio, il ricorrere di note particolarità strutturali, la presenza di deficit funzionali della struttura, la particolare posizione del bene nel contesto urbano, la presenza o meno di servizi efficienti);
– la preparazione e la capacità dell’amministratore.
Sulla base di questi parametri (e di altri, che possono emergere nella trattativa fra condominio e professionista) si deve dunque arrivare alla determinazione del compenso dell’amministratore.
Per quanto attiene il modo di determinazione del compenso, prima della legge di riforma si era soliti individuarlo con riferimento all’ attività cosiddetta ordinaria dell’amministratore, che comprendeva la normale gestione del bene e dei rapporti fra condomini, cioè la gestione quotidiana del condominio.
In aggiunta al compenso per l’attività ordinaria andava poi di volta in volta individuato quello per le attività straordinarie.
Ovvero per i lavori di straordinaria o di rilevante entità i quali, per definizione, non rientravano nella gestione ordinaria.
Così, l’ attività ordinaria era retribuita secondo l’importo forfetario determinato al momento della nomina dell’amministratore, mentre quella straordinaria veniva retribuita in proporzione al valore dei lavori eccezionali svolti.
Per l’attività straordinaria il rischio era quindi quello che l’amministratore potesse chiedere compensi molto alti, sorprendendo così i condòmini.
Questa modalità di retribuzione è oggi di fatto caduta in disuso.
In virtù della norma della legge di riforma [2] l’amministratore, nel momento in cui accetta l’attribuzione dell’incarico o il rinnovo dello stesso, deve specificare in modo analitico l’ammontare del compenso.
Se l’amministratore contravviene a questo obbligo, la sua nomina è considerata nulla e, dunque, del tutto inefficace.
La conseguenza è che l’amministratore che non ha bene indicato il proprio compenso non potrà assumere l’incarico e non potrà far valere alcun credito verso il condominio.
Questa disposizione impone quindi che il compenso dell’amministratore sia indicato con certezza e per intero all’atto della nomina.
In questo modo si tende ad evitare la fissazione di compensi in relazione ai singoli atti, poiché ciò potrebbe comportare abusi ai danni dei condomini.
Infatti, la norma – in maniera netta – vieta che si continui a distinguere fra un compenso determinato in via forfetaria per l’attività ordinaria ed un compenso che di volta in volta viene stabilito senza criteri certi per i lavori eccezionali o straordinari; allo stesso modo, la citata disposizione vieta che si pattuisca un compenso in relazione ai singoli atti da svolgere.
Al più, la disposizione consente che l’amministratore, quando si candida ad assumere la gestione condominiale, presenti un preventivo dove accanto ai singoli atti sia indicato il compenso che richiede.
Con la possibilità di indicare – per i lavori di rilevante entità – un compenso proporzionale al valore degli stessi.
In questo secondo caso, però, per non incorrere nella sanzione della nullità della sua nomina, è bene che chi si candida ad assumere l’amministrazione di un condominio indichi con assoluta chiarezza la tipologia dei lavori da svolgere.
In questo modo l’assemblea avrà a disposizione tutte le informazioni per decidere, e il rapporto fra condominio ed amministratore sarà incentrato su principi di certezza e trasparenza.
Di certo, salvo diversa decisione dell’assemblea, non può mai costituire attività straordinaria o di rilevante entità la partecipazione alle assemblee stesse: questa attività, infatti, è connessa alle funzioni istituzionali dell’amministratore [3].
[1] Art. 1135, comma 1, cod. civ.
[2] Art. 1129, comma 14, cod. civ.
[3] Cass. sent. 3596/2003 del 12 marzo.
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