Canne di scarico, stufe e camini: limiti in condominio
Niente rispetto dei tre metri dal fondo del vicino: le norme del codice civile sulle distanze minime non valgono per le canne fumarie. A chiarirlo è la Cassazione [2], secondo cui, non trattandosi di costruzioni vere e proprie, i tubi di scarico dei fumi apposti sulla facciata dell’edificio non sono tenuti al rispetto della norma del codice civile sulle distanze regolamentari.
La Corte di Cassazione richiama una sua precedente pronuncia secondo cui, in tema di condominio negli edifici, il codice civile [3] afferma che ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso. Non rileva, dunque, la disciplina sulla distanza delle costruzioni dalle vedute [1], atteso che la canna fumaria non è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto (nella specie, il forno di una pizzeria).
Ne consegue che ove non vi sia alterazione della destinazione della cosa comune e impedimento di pari uso agli altri condomini, è legittima una canna fumaria posta in aderenza al muro perimetrale e a ridosso del terrazzo a livello di proprietà di un determinato condomino, anche se realizzata in violazione delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà esclusive, distinte e contigue.
Non entra, quindi, in gioco una distanza legale fissa ma la disciplina fissata dagli stessi condomini in virtù di un regolamento contrattuale, sempre nel rispetto del decoro architettonico e della salubrità: è proprio sotto quest’ultimo aspetto, poiché la canna fumaria comporta anche emissione di fumi o di vapori, occorrerà prestare attenzione alla loro nocività e porre in essere le cautele necessarie per evitare conseguenze negative.
La sentenza
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 gennaio – 3 marzo 2014, n. 4936
Presidente Triola – Relatore Abete
Svolgimento del processo
B.G. , dante causa della ricorrente, proprietario di un immobile a piano terra sito in (omissis) , chiedeva all’assemblea del 27.1.1990 del condominio in cui era ricompreso il cespite di sua esclusiva proprietà, di essere autorizzato a realizzare sulla parete perimetrale dello stabile condominiale una canna fumaria necessaria per l’evacuazione dei fumi del camino collocato all’interno del suo appartamento.
L’assemblea acconsentiva in conformità alle disposizioni del codice civile ed il verbale assembleare veniva sottoscritto anche dal condominio Ba.Mi. ; con ulteriore deliberazione in data 17.1.1992 l’assemblea ribadiva il proprio consenso e parimenti il verbale era sottoscritto da Ba.Mi. .
Indi, con provvedimento del 30.1.1992, il comune di Matera autorizzava B.G. , che aveva formulato apposita domanda, all’installazione della canna fumaria, canna in seguito realizzata in conformità alle prescrizioni e dell’autorizzazione e dell’art. 39 del regolamento edilizio del comune di Matera.
Successivamente il condomino B.M. adiva il pretore di Matera, dapprima, con ricorso per manutenzione in data 8.5.1992, ricorso nondimeno rigettato con ordinanza del 5.6.1992, dipoi, con distinto ricorso per reintegra in possesso in data 9.12.1992, ricorso con cui deduceva che la canna fumaria “impediva il suo diritto di veduta dal parapetto del terrazzo di sua esclusiva pertinenza” (così ricorso, pag. 4), all’uopo puntualizzando che il “diritto di veduta dal terrazzo era tutelabile ex art. 907 c.c. perché pertinenza esclusiva dell’alloggio a primo piano di sua proprietà” (così ricorso, pag. 4).
Riuniti i fascicoli e del primo e del secondo ricorso, dispostane la rimessione al tribunale di Matera, con sentenza n. 43 dei 16/17.1.2002 tal ultima autorità giudiziaria rigettava la domanda.
Interponeva appello B.M. , instando per la riforma della gravata sentenza.
Si costituiva e resisteva B.G. , invocando il rigetto dell’avverso gravame.
Con sentenza n. 120 dei 12/26.3.2008 la corte d’appello di Potenza accoglieva l’appello in relazione al primo dei tre motivi addotti e, per l’effetto, ordinava “a B.G. di demolire la canna fumaria di sfogo del camino realizzato nell’appartamento di sua proprietà, agganciata alla parete del fabbricato sito in (OMISSIS) ” (così sentenza d’appello, pag. 3), condannando l’appellato al pagamento delle spese del doppio grado.
In particolare, il giudice di seconde cure, dato atto previamente che l’appellante “ha prodotto copia del contratto di compravendita dell’immobile dal quale risulta che il terrazzo di che trattasi è pertinenza esclusiva dell’appartamento sito al primo piano – sovrastante quello di B. , posto al piano rialzato – di sua proprietà” (così sentenza d’appello, pag. 2), evidenziava che, in quanto pertinenza esclusiva del suo appartamento, “l’appellante… aveva diritto di fruirne e di esercitare la veduta, diretta e obliqua” (così sentenza d’appello, pag. 2); che “anche la canna fumaria elevata da B. … può essere fatta rientrare nella categoria delle costruzioni di cui all’art. 907 c.c. ed essa, come emerge agevolmente dall’esame delle fotografie allegate ai fascicoli di parte, ostacola l’esercizio della veduta da parte di B. dal terrazzo del suo appartamento, modificandone in maniera significativa il godimento” (così sentenza d’appello, pag. 3); che, dunque, “la canna fumaria realizzata da B. fosse idonea a costituire turbativa del possesso della veduta come in precedenza esercitata da B. ” (così sentenza d’appello, pag. 3).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso D.P.A. , in qualità di erede di B.G. , chiedendone la cassazione con il favore delle spese del giudizio di legittimità.
Ba.Mi. ha depositato controricorso, chiedendo dichiararsi inammissibile e, comunque, rigettarsi l’avverso ricorso del pari con il favore delle spese.
Motivi della decisione
Con un unico motivo, articolato in forma duplice, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3), c.p.c., la erronea applicazione dell’art. 907 c.c. e la violazione dell’art. 1102 c.c. con riferimento al diritto di veduta nei rapporti condominiali ed, in relazione all’art. 360, 1 co., n. 5), c.c., il vizio di contraddittoria motivazione e travisamento dei fatti con riferimento alla natura giuridica del terrazzo pertinenziale.
All’ uopo adduce che “l’espressione pertinenza attribuita al terrazzo nel rogito di acquisto del BA. indica oggettivamente e soltanto che sullo stesso non hanno titolo di accesso… gli altri condomini dell’edificio” (così ricorso, pagg. 6 – 7); che, conseguentemente, la corte distrettuale ha erroneamente “considerato fondata la invocata tutela ex art. 907 c.c., norma, invece, non applicabile ad unità immobiliari in proprietà comune, poiché, ai sensi del… citato art. 1117 c.c., la parete perimetrale ed il lastrico solare sono parti inscindibili del medesimo edificio” (così ricorso, pagg. 7 – 8); che, “sotto altro profilo…, ai sensi dell’art. 1102 c.c. – in relazione anche al disposto di cui all’ art. 1119 c.c. – gli eredi di B.G. hanno diritto di utilizzare la parete condominiale dell’edificio, avente natura condominiale, per l’apposizione della canna fumaria, senza alcuna autorizzazione da parte degli altri condomini” (così ricorso, pag. 8); che, invero, l’art. 1102 c.c. “si pone – con riferimento all’art. 907 c.c. – in relazione giuridicamente prevalente…” (così ricorso, pag. 9); che, propriamente, “non è opponibile la invocata tutela della veduta dal parapetto del terrazzo in danno dei diritti dei condomini ricorrenti… non solo per la particolare dimensione limitata della canna fumaria…, quanto perché l’art. 907 c.c. attiene a fattispecie diversa da quella in esame, che riguarda invece i diritti condominiali relativi allo stesso stabile, garantiti ai singoli condomini dall’art. 1102 c.c.” (così ricorso, pag. 9); che “l’art. 907 c.c… è a tutela di diritti di veduta tra fabbricati autonomi, la cui titolarità appartiene a soggetti diversi” (così ricorso, pag. 9); che “nel caso in questione, il presupposto di distinti diritti assoluti di proprietà immobiliare non sussiste per la natura stessa della condominialità dell’edificio di cui è parte il terrazzo” (così ricorso, pag. 9) “; che, “inoltre, l’apposizione della canna fumaria… non contrasta con la destinazione d’uso della muratura perimetrale dell’edificio condominiale, né con il pari diritto degli altri condomini, né altera il decoro architettonico dell’immobile, poiché non vi è prova contraria in ordine alle suddette circostanze” (così ricorso, pag. 12).
Il motivo addotto – in relazione alla denunciata violazione e falsa applicazione delle menzionate norme codicistiche – è fondato; lo spiegato ricorso va, pertanto, accolto.
In verità il controricorrente ha dedotto che, in contrasto – evidentemente – con il disposto dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al caso di specie, “il motivo… non si conclude con la formulazione del quesito” (così controricorso, pag. 12).
La riferita prospettazione non merita assenso: è sufficiente al riguardo il riscontro delle pagine 13 e 14 del ricorso esperito da D.P.A. .
A sostegno della dedotta inammissibilità il controricorrente deduce, altresì, che “nessuna delle questioni poste a pagina 13 del ricorso introduce il tema della natura giuridica del terrazzo sovrastante l’appartamento cui accede, se da intendersi pertinenza ai sensi dell’art. 817 c.c. o porzione condominiale ex art. 1117 c.c.” (così controricorso, pag. 12).
Il testé trascritto argomento difensivo del pari non è meritevole di adesione.
Invero in sede di formulazione – illustrazione del motivo di ricorso D.P.A. ha univocamente opinato per la natura condominiale del terrazzo che afferisce all’alloggio di B.M. (“la qualificazione di pertinenza… non consente di far acquisire al terrazzo valenza di unità immobiliare autonoma, poiché lo stesso rappresenta la naturale struttura di copertura dell’edificio, quindi, condominiale ex art. 1117 c.c., per altro non divisibile, né scindibile ai sensi dell’art. 1119 c.c.“: così ricorso, pag. 7).
E tale assunto è senza dubbio riflesso nel corpo del quesito all’uopo formulato alle pagine 13 e 14 del ricorso, segnatamente nella prefigurata prevalenza applicativa, rispetto all’art. 907 c.c., del complesso dispositivo di cui all’art. 1102 c.c.
Quest’ultimo rilievo, al contempo, sgombera il campo pur dall’ulteriore profilo di inammissibilità che il controricorrente ha inteso prefigurare: contrariamente a quanto costui afferma, l’opzione ricostruttiva propensa all’applicazione dell’art. 1102 c.c. ha un’indubitabile valenza dirimente in rapporto alla materia litigiosa che segna il presente giudizio di legittimità.
Al riscontro dell’ammissibilità dell’esperito motivo di ricorso fa seguito il riscontro del suo – siccome premesso – buon fondamento.
Si rimarca, in primo luogo, che vi è verosimilmente margine per reputar che il terrazzo afferente all’alloggio di proprietà del controricorrente, appartenga al medesimo B.M. (cfr. Cass. 18.8.1990, n. 8394, secondo cui per terrazza a livello deve intendersi, in un edificio condominiale, una superficie scoperta posta al sommo di alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali costituisce parte integrante strutturalmente e funzionalmente, tal che deve ritenersi, per il modo in cui è stata realizzata, che è destinata non solo e non tanto a coprire una parte di fabbricato, ma soprattutto a dare possibilità di espansione e di ulteriore comodità all’appartamento del quale è contigua, costituendo di esso una proiezione all’aperto; quando ricorre tale situazione dei luoghi, la funzione della terrazza, quale accessorio rispetto all’alloggio posto allo stesso livello, prevale su quella di copertura dell’appartamento sottostante e, se dal titolo non risulta il contrario, la terrazza medesima deve ritenersi appartenente al proprietario del contiguo alloggio, di cui strutturalmente e funzionalmente è parte integrante).
Tuttavia, pur su tale scorta, non può che reiterarsi, in secondo luogo, l’insegnamento per cui, in tema di condominio le norme sulle distanze, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti fra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, a condizione, però, che siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni; propriamente, in ipotesi di contrasto, la norma speciale in materia di condominio prevale e determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, allorché i diritti o le facoltà da tal ultima disciplina previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo i parametri previsti dall’art. 1102 c.c. (applicabile al condominio per il richiamo di cui all’art. 1139 c.c.); in tal guisa non sembra ragionevole individuare, nell’utilizzazione delle parti comuni, limiti o condizioni estranei alla regolamentazione e al contemperamento degli interessi in tema di comunione (cfr. Cass. 14.4.2004, n. 7044; Cass. 18.3.2010, n. 6546).
In questo quadro, nel segno e nei limiti, dunque, dell’art. 1102 c.c., non può che condividersi l’assunto della ricorrente alla cui stregua “gli eredi di B.G. hanno diritto di utilizzare la parete perimetrale dell’edificio, avente natura condominiale, per l’apposizione della canna fumaria, senza alcuna autorizzazione da parte degli altri condomini” (così ricorso, pag. 8).
Ciò del resto in linea con la statuizione assunta di recente da questa medesima Sezione in un caso sostanzialmente analogo (il riferimento è a Cass. 23.2.2012, n. 2741, con la quale si è opinato nel senso che, in tema di condominio negli edifici, qualora il proprietario di un’unità immobiliare del piano attico agisca in giudizio per ottenere l’ordine di rimozione di una canna fumaria posta in aderenza al muro condominiale e a ridosso del suo terrazzo, la liceità dell’opera, realizzata da altro condomino, deve essere valutata dal giudice alla stregua di quanto prevede l’art. 1102 c.c., secondo cui ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non rilevando, viceversa, la disciplina dettata dall’art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, atteso che la canna fumaria (nella specie, trattavasi di un tubo in metallo) non è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto (nella specie, trattavasi del forno di una pizzeria)).
Nei termini esposti reputa questo giudice di legittimità, in tal guisa attendendo all’enunciazione del principio di diritto giusta la previsione dell’art. 384, 1 co., c.p.c., che le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, a condizione, tuttavia, che siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni; propriamente, in ipotesi di contrasto, la norma speciale in materia di condominio prevale e determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze; in tal guisa, ove il giudice constati il rispetto dei limiti tutti di cui all’art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera – eventualmente una canna fumaria posta in aderenza al muro perimetrale e a ridosso del terrazzo a livello di proprietà di un determinato condomino – quantunque realizzata in violazione delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà esclusive, distinte e contigue.
La sentenza n. 120 dei 12/26.3.2008 della corte d’appello di Potenza va dunque cassata.
D’altro canto, la cassazione della statuizione anzidetta per nulla vale a precludere od a menomare in sede di rinvio la delibazione degli ulteriori motivi di gravame che l’attuale controricorrente ebbe ad addurre e dalla cui delibazione il giudice di seconda istanza ebbe a prescindere, allorché ebbe a considerare assorbente e concludente ai fini del buon esito dell’appello e, quindi, della riforma della statuizione di primo grado l’accoglimento del primo motivo all’uopo esperito.
Si dispone il rinvio alla corte d’appello di Bari, che si uniformerà al testé enunciato principio di diritto e provvederà altresì alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte d’appello di Bari anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
[1] Art. 907 cod. civ.
[2] Cass. sent. n. 4936/14.
[3] Art. 1102 cod. civ.
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