Se manca la residenza entro i 18 mesi previsti, il contribuente può dimostrare documentalmente che, di fatto, abitava già presso l’immobile
Non è legittimo l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, conseguente al disconoscimento dell’agevolazione “prima casa”, se il contribuente non ha ottenuto il trasferimento della residenza entro i 18 mesi previsti dalla norma, per il mancato accoglimento della domanda da parte del Comune, sempreché il contribuente dimostri documentalmente che di fatto abitava già, entro tale termine, presso l’immobile oggetto di acquisto agevolato. Lo ha stabilito la C.T. Reg. di Torino, con la sentenza n. 78/14/11 del 24 novembre 2011.
La cosiddetta agevolazione “prima casa” è subordinata alla sussistenza delle precise condizioni previste dalla sua normativa di riferimento, recata dalla nota II-bis dell’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86. In particolare, una delle condizioni stabilite dalle citate disposizioni prevede che l’immobile oggetto di acquisto agevolato debba essere ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha, o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto, la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorio italiano.
La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel Comune ove è ubicato l’immobile deve essere resa dall’acquirente, a pena di decadenza, nell’atto di acquisto. In caso di dichiarazione mendace o di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito, degli immobili acquistati con l’agevolazione in oggetto, prima del termine di cinque anni dalla data del rogito, l’agevolazione è revocata e sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una soprattassa pari al 30% delle stesse imposte.
Dai fatti di causa, oggetto della pronuncia in commento, emerge che un contribuente aveva richiesto e ottenuto il beneficio fiscale de quo. Si era quindi attivato prontamente, presso il Comune di ubicazione dell’immobile, per ottenere il trasferimento della residenza. L’ente locale respingeva una prima volta la domanda proposta dal contribuente, atteso che, in esito ai controlli effettuati, l’immobile in oggetto, secondo l’Agente accertatore, risultava inabitabile. La seconda istanza presentata veniva anch’essa rigettata perché l’Agente accertatore aveva constatato che il contribuente non abitava all’indirizzo indicato. Anche la terza domanda di trasferimento della residenza, ormai presentata oltre il decorso del termine previsto di diciotto mesi, non andava a buon fine, atteso che il Comune di provenienza aveva comunicato che il richiedente aveva ancora, presso tale Comune, la dimora abituale, unitamente alla famiglia.
Il contribuente proponeva ricorso alla C.T. Prov., eccependo di aver richiesto il trasferimento della residenza, presso il Comune in cui è ubicato l’immobile oggetto di acquisto agevolato, per se stesso, senza la sua famiglia, atteso che presso tale Comune svolgeva la propria attività professionale. Il ricorrente esibiva, inoltre, la documentazione da cui si evinceva che la casa era stata effettivamente abitata, giacché le fatture relative alle utenze ne dimostravano l’utilizzo. Il collegio di prime cure, quindi, accoglieva il ricorso. Opponeva gravame l’Ufficio, osservando che le condizioni per l’utilizzo dell’agevolazione non ammettono deroghe.
La C.T. Reg. ha stabilito che la decisione dei giudici di primo grado era corretta, perché aveva attribuito prevalenza alla documentazione probatoria del contribuente rispetto ai provvedimenti di diniego, del tutto immotivati, emessi dal Comune. Lo svolgimento dell’attività di commercialista, infatti, poteva spiegare il fatto che il contribuente, avendo chiesto il trasferimento della residenza soltanto per se stesso, non fosse presente presso l’abitazione al momento del sopralluogo da parte del personale del Comune. Peraltro, secondo i giudici torinesi, era irrilevante il fatto che il resto delle sua famiglia dimorasse ancora nel Comune di provenienza. Il Collegio ha ritenuto, quindi, che sussistessero le condizioni previste per l’agevolazione “prima casa”. La Cassazione, proprio in un caso analogo, aveva stabilito che, in ipotesi di fattispecie agevolative, le relative disposizioni sono di “stretta interpretazione” e, pertanto, l’unico elemento che assume rilevanza è – come previsto dalle norme – la residenza anagrafica, a nulla rilevando la realtà fattuale, ove questa contrasti con il dato anagrafico (Cass. n. 14399/2010; conforme: Cass. n. 4628/2008).
Ritornando al caso odierno, giova osservare che il contribuente svolgeva presso il Comune di ubicazione dell’immobile la sua attività professionale (si presume ancora prima dell’acquisto immobiliare) e quindi, anziché difendersi sul mancato trasferimento di residenza, avrebbe potuto far valere questa circostanza, atteso che la norma prevede la spettanza del bonus anche in caso di acquisto dell’immobile ubicato nel Comune in cui viene svolta l’attività dell’acquirente, purché essa sussista già al momento dell’acquisto agevolato (cfr. Cass. n. 23377/2010).