BENI COMUNI E DESTINAZIONE D’USO
Libera la fruizione delle parti comuni, ma vietati gli abusi
L’approfondimento di questa settimana è dedicato ai limiti di utilizzo dei beni condominiali in base a quanto è stato deciso dalla sezione seconda della Corte di Cassazione nella sentenza n. 27233/2013.
I giudici della Suprema Corte hanno stabilito che l’art. 1102 del codice civile, a mente del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso è una norma derogabile ed il regolamento condominiale o comunque le delibere assembleari adottate secondo le maggioranze previste per legge possono stabilire diversamente introducendo limitazioni.
In particolare, la controversia riguardava il divieto condominiale di aprire, nel muro perimetrale comune, un nuovo accesso al cortile da parte di un condomino, nonché l’applicazione di un criterio di ripartizione diverso da quello millesimale. Si tratta di una importante pronuncia che è utile comprendere bene.
Autodisciplina condominiale
Il condominio potrebbe scegliere di imporre dei limiti all’utilizzo delle parti comuni, fermo restando il divieto sostanziale di impedirne l’utilizzo generalizzato. È invece possibile che l’assemblea condominiale adotti una delibera che vieti un uso specifico. Occorre però stabilire se l’utilizzo da parte del singolo condomino delle parti comuni introduca di fatto una modifica o una innovazione.
La distinzione si ricollega all’entità e alla qualità dell’incidenza della nuova opera rispetto alla parte comune ed è importante per stabilire i quorum richiesti per l’assemblea. Un criterio utile di valutazione consiste nello stabilire se si tratta più precisamente di opere dirette ad una vera e propria trasformazione oppure a semplici miglioramenti per rendere più funzionale e più comodo l’utilizzo del bene.
La suprema Corte ha ritenuto che l’apertura di un accesso al muro comune costituisce una modificazione, ammessa entro i limiti dell’art. 1102 c.c. Tuttavia questa norma può essere secondo il ragionamento dei giudici derogata, stabilendo che l’utilizzo del singolo sia limitato.
Destinazione delle parti comuni
Salvo che il titolo non disponga diversamente, il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene.
Nessun condomino può alterare individualmente la destinazione delle parti comuni, impedendo agli altri di utilizzare la cosa. Per destinazione si intende lo scopo a cui
la cosa è diretta, avendo riguardo non soltanto alla normale funzione, ma anche ad usi eventualmente diversi, concordati dai partecipanti. Un condomino potrà senza il consenso dell’assemblea, a proprie spese, introdurre modifiche della cosa comune, fermo restando i limiti previsti dalla legge, dal regolamento condominiale o dall’assemblea, ma non potrà autonomamente introdurre interventi diretti ad alterare la sostanza della cosa comune o diretti a mutarne la destinazione originaria. In queste ipotesi è necessario il consenso degli altri condomini.
Mutamento di destinazione d’uso
Altro discorso vale per le modificazioni delle destinazioni d’uso ex art. 1117-ter c.c., a mente del quale per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l’assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell’edificio, possa modificare la destinazione d’uso delle parti comuni.
http://www.leggo.it/CASA/CONDOMINIO/ben … /968.shtml