Beni comuni e Beni privati
L’art. 1117 c.c. elenca una serie cose, servizi e impianti che, in un edificio in che abbia almeno due distinti proprietari di (almeno) altrettante unità immobiliari, devono considerarsi comuni.
Le scale interne, per citare l’esempio più classico, o ancora l’impianto di riscaldamento se la centrale termica serve ad irradiare calore a tutte le unità immobiliari site nello stabile. Continuando negli esempi si pensi al lastrico solare, ai locali per il portiere o per lo svolgimento delle assemblee condominiali.
Gli esempi non si fermano alle cose individuate nella norma citata all’inizio.
La giurisprudenza, infatti, afferma che in tema di condominio, i beni indicati dall’articolo 1117 c.c., con elencazione non tassativa ma solo esemplificativa, si intendono comuni per presunzione derivante sia dall’attitudine oggettiva che dalla concreta destinazione degli stessi al servizio comune (così Cass. 13 marzo 2009 n. 6175).
Ciò che fa riflettere ,oltre alla l’evidente flessibilità normativa nella valutazione della condominialità dei beni, è l’utilizzo costante e ripetuto della locuzione presunzione di condominialità.
Tale affermazione, costantemente ripetuta fare sorgere, più che giustamente un dubbio: i beni indicati dall’art. 1117 e gli altri che per attitudine possono essere equiparati devono essere considerati di proprietà comune o debbono presumersi tali? La differenza non è di poco conto.
Se i beni sono di proprietà comune, l’unico modo per poter affermare la loro non condominialità è quello di dimostrare, carte alla mano (quindi tramite l’atto d’acquisto o il regolamento di codominio di natura contrattuale), che quella determinata parte che si assume essere di tutti è in realtà solamente di uno o di un gruppo di condomini. Ciò che al massimo si potrà fare è reclamarne l’usucapione.
Se,invece, si propende per la presunzione di condominialità è evidente che l’onere probatorio risulti decisamente alleggerito potendosi dimostrare anche con altri mezzi che la proprietà del bene conteso non è comune.
Per fare chiarezza sul punto sono dovute intervenire le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che nel lontano 1993 ebbero modo di affermare che la norma dell’art. 1117 del codice civile stabilendo che: Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo, le cose in essa elencate nei nn. 1, 2 e 3, non ha sancito una presunzione legale di comunione delle stesse, come erroneamente si è affermato in alcune sentenze di questa Corte, ma ha disposto che detti beni sono comuni a meno che non risultino di proprietà esclusiva in base a un titolo che può essere costituito o dal regolamento contrattuale o dal complesso degli atti di acquisto delle singole unità immobiliari o anche dall’usucapione.
E che la norma non abbia previsto una presunzione risulta non solo dalla sua chiara lettera che ad essa non accenna affatto, ma anche dalla considerazione che nel codice si parla esplicitamente di presunzione ogni qual volta con riguardo ad altre situazioni si è voluto richiamare questo mezzo probatorio (v. art. 880, 881 e 899 cod. civ.).
D’altra parte, se con la disposizione dell’art. 1117 si fosse effettivamente prevista la presunzione di comunione, si sarebbe ammessa la prova della proprietà esclusiva con l’uso di qualsiasi mezzo e non soltanto con il titolo.
Tuttavia, con le pronunce di questa Corte nelle quali è stato richiamato il concetto di presunzione, non si è inteso affermare che la prova della proprietà esclusiva delle cose comuni di cui all’art. 1117 cod. civ. possa essere fornita con ogni mezzo e non con il solo titolo cui la norma espressamente si riferisce, ma si sono volute escludere dallo stesso complesso delle cose comuni quelle parti che per le loro caratteristiche strutturali risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari di un determinato edificio.
In altri termini, ritenendosi in tali decisioni che “la destinazione particolare vince la presunzione legale di condominio alla stessa stregua di un titolo contrario”, benché si sia richiamato erroneamente il concetto di presunzione, del tutto estraneo alla norma dell’art. 1117 civ., si è pero, enunciato anche il principio, indubbiamente corretto, secondo cui una cosa non può proprio rientrare nel novero di quelle comuni se serva per le sue caratteristiche strutturali soltanto all’uso e al godimento di una parte dell’immobile oggetto di un autonomo diritto di proprietà (così Cass. SS.UU. 7 luglio 1993 n. 7449).
La pronuncia precisa e dettagliata nello spiegare perché l’utilizzo della locuzione presunzione di condominialità sia fatto in modo atecnico, se non addirittura improprio, non ha avuto, negli anni successivi, obiezioni nel merito pur essendo ancora in voga la prassi di parlare di presunzione di condominialità.
In concreto, quindi, ciò che conta è che i beni sono o non sono comuni ed è scorretto,tecnicamente, affermare che si presumono tali.
Avv. Alessandro Gallucci