Animali in condominio: le limitazioni restano possibili anche dopo la riforma
I regolamenti possono contenere norme di godimento e di utilizzo delle proprietà esclusive idonee a porre limitazioni ai diritti dei relativi proprietari. Il nuovo articolo 1138 del Codice civile dichiara espressamente che il regolamento non può vietare il possesso o la semplice detenzione di animali domestici in casa o comunque all’interno del condominio. Nulla cambia però per i regolamenti in essere, perché la nuova disposizione di legge, in quanto non diretta a tutelare un interesse di ordine pubblico, è destinata ad avere efficacia solo per il futuro, in forza del principio generale vigente nel nostro ordinamento della irretroattività della legge.
La norma non è comunque tra quelle che la legge considera inderogabili, talché il divieto ben può continuare a esistere anche in futuro in un regolamento di natura contrattuale, purché la relativa clausola sia trascritta nei pubblici registri immobiliari, perché altrimenti non è opponibile al nuovo acquirente. Ciò nonostante, non è semplice per gli animali stare in condominio, ma tutto dipende dal rispetto che i loro padroni hanno delle più elementari regole che governano il vivere nella collettività. Il cane che usa le scale al guinzaglio del suo padrone e munito di museruola non arreca pregiudizio ad alcuno, al pari del gatto che indisturbato passeggia sul tetto dell’edificio oppure nel cortile condominiale.
È facoltà dell’assemblea stabilire le regole che devono essere rispettate dai proprietari degli animali, sia nell’uso degli spazi o dei servizi comuni e sia in relazione al più generale comportamento che devono tenere all’interno del complesso condominiale: ciò sul generale presupposto che il diritto di ciascun condomino di usare e di godere a suo piacimento dei beni comuni trova limite nel pari diritto di uso e di godimento degli altri. Il lasciare libero un animale o custodirlo senza le debite cautele o affidarlo a persona inesperta costruisce un reato penalmente sanzionato (articolo 672, Codice penale).
Particolare rilievo assume anche il problema riguardante la possibilità di far uso dell’ascensore con gli animali. Nel silenzio di uno specifico divieto contenuto nel regolamento anche di natura assembleare, l’inibire a un condomino di usare l’ascensore con il proprio cane può trovare legittime motivazioni solo di ordine igienico sanitario, da valutarsi di volta in volta a seconda della concreta fattispecie che si può presentare.
Uguale ragionamento giustifica la limitazione al numero degli animali che il condomino può detenere nella propria unità immobiliare, superato il quale appare anche legittimo l’intervento del giudice, con il conseguente allontanamento degli animali in esubero e il loro affido a enti specializzati.
Non vanno poi dimenticati i rischi in cui incorre il custode dell’animale, qualora questo diventi fonte di immissioni di rumori o di odori tali da cagionare, per la loro frequenza e intensità, malessere e insofferenza anche a persone di normale sopportazione (o per aggressività, si veda il quesito sotto). Una volta che il continuo abbaiare del cane o le esalazioni maleodoranti superino i limiti di tollerabilità, ben è possibile l’intervento del giudice che ordini la cessazione delle immissioni, fermo il diritto del danneggiato di richiedere il risarcimento per il pregiudizio subito. Neppure sono da sottovalutare le possibili conseguenze penali, laddove lo strepitio dell’animale disturbi in modo intollerabile il riposo delle persone (articolo 659, Codice penale), sempre che l’abbaiare vada a pregiudicare non già un solo condomino, ma un numero indeterminato di persone (Cassazione penale n. 45239/14).
Anche il lasciare solo in casa il cane durante tutto il giorno può comportare l’intervento del giudice penale perché per configurare il reato di abbandono di animale (articolo 672, Codice penale) non occorre che ci si disfi dell’animale una volta per tutte, ma è sufficiente che lo si curi male, nella consapevolezza dell’incapacità dell’animale di non potere più provvedere a se stesso (sentenza Tribunale di Lucca n. 40/14)
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