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I dieci perchè della crisi finanziaria

I dieci perché dello scossone sui mercati finanziari
di Fabrizio Galimberti

Cari amici,

Oggi i giornali ci danno un po’ di tregua, e pertanto abbiamo l’ occasione di soffermarci a riflettere su quanto sta succedendo.

Di seguito riporto un articolo interessante tratto dalla WebPage del sole 24 ore, che ci permette di approfondire i temi riguardanti le cause della crisi.

E’ importante che il lettore sappia che questo articolo è scritto apposta per rassicurare chi legge.

Le opinioni del giornalista vanno soppesate e confrontate con i fatti, e soprattutto con la situazione strategica, geopolitica e macroeconomica che stiamo vivendo.

Questi tre aspetti sono legati e interdipendenti.

Non si può non rilevare la pesante situazione debitoria degli Stati Uniti nei confronti di tutto il resto del mondo, che crea difficoltà a credere nella riuscita del piano di salvataggio finanziario in corso d’ opera.

Non si può non rilevare il peso politico delle riserve di gas e petrolio di proprietà della Russia, che getta un orizzonte politico rischioso per l’ Unione Europea.

Non si può non rilevare l’ enorme peso economico, e quindi politico, della Cina e dell’ India e dell’ Asia in generale, che ha creato, e che continua a creare disarticolazioni economiche in tutte le società occidentali.

Certo, a questi discorsi preminenti, si aggiungono anche le considerazione del bravo giornalista Galimberti, il quale, se potesse esprimersi in libertà e al di fuori dalla linea politica del suo giornale, forse scriverebbe con altri accenti.

Perchè è fuori di dubbio che fino a quando si pretenderà di tenere insieme un sistema economico che ha perso le sue fondamenta (poichè le speculazioni economiche non sono più ammesse politicamente e verranno sempre di più perseguite), e ha perso anche il suo futuro “possibile” (La crescita economica illimitata si scontra con i limiti fisici del nostro pianeta; pertanto è impossibile il mantenimento di questa tendenza per un tempo indefinito), sarà molto difficile per i media e per il sistema politico promuovere la “fiducia” dei mercati.

La “fiducia” va fondata su basi solide!

Il mercato economico globalizzato è troppo fluttuante ed intederminato per garantirla!

Il sole 24 ore

La peste infuria, il pan ci manca. No, in verità le cose non stanno così male. Ma, a seguire le cronache di questa tormentata crisi, sembra talvolta di assistere in presa diretta all’Armageddon della finanza. Ed è difficile, anche per gli addetti ai lavori, seguire il bandolo di un gomitolo impazzito: la palla di neve, iniziata con la crisi di un segmento del mercato dei mutui, è in breve diventata una valanga, eccitando una serie di superlativi, dal “nuovo ’29” alla crisi del secolo. E anche i forti rimbalzi che seguono le forti cadute non sono tali da diradare timori e tremori. Ecco qui di seguito dieci domande e dieci risposte per cercare di sbrogliare questa intricata matassa.

1) Come ci siamo messi in questo pasticcio?
All’origine ci sono le case, e in particolare le case americane. La casa fa parte dell’American
dream, del sogno americano (e non solo americano). E per facilitare l’acquisto delle case la finanza americana, non adeguatamente supervisionata, cominciò a offrire allettamenti incredibili: mutui pari al 100% del valore, mutui a rate basse perché l’interesse si pagava solo alla fine, soprattutto mutui senza accertare l’affidabilità di chi riceveva i soldi. Ma perché le banche davano soldi a chi non poteva restituirli? Perché, e qui sta il secondo problema, il rischio del nonpagamento veniva trasferito ad altri. Le banche impacchettavano questi mutui in obbligazioni che venivano poi vendute sul mercato ad altri investitori; così gli istituti finanziari potevano rientrare subito dei soldi prestati, e fare altri prestiti. E così si alimentava la bolla immobiliare, mentre veniva peggiorando la qualità dei mutui. La cosa non poteva durare, e non durò: nell’agosto del 2007 i nodi vennero al pettine e quei titoli appoggiati sui mutui persero di valore. Il mercato si accorse che molti mutuatari non avrebbero potuto restituire i soldi, e questo timore contagiò tutte quelle obbligazioni, sia quelle che avevano dietro mutui cattivi che quelle che avevano dietro mutui buoni. E c’è di più: quell’idea di trasferire il rischio non riguardava solo i mutui immobiliari. Anche altri impieghi delle banche erano stati impacchettati e trasferiti in obbligazioni vendute sul mercato: prestiti per l’acquisto di auto, carte di credito, prestiti per finanziare fusioni e acquisizioni.

2) Di chi è la colpa di tutto quello che è successo?
La colpa è fondamentalmente dei supervisori. In America la supervisione non è accentrata, c’è un numero incredibile di supervisori delle banche, alcuni a livello federale e molti a livello statale. La complessità di questa sorveglianza a più strati rende difficile sapere quello che succede veramente. Inoltre, c’era una mentalità permissiva, fondata sulla fiducia nella capacità del sistema finanziario di regolarsi da solo.

3) Quali sono i rischi per l’economia?
Il rischio è la sfiducia. Quanti sono i mutuatari che non pagheranno, e quali saranno le vere perdite delle banche una volta che avranno venduto la casa per rientrare del mutuo non pagato? Nessuno lo sa, ma qualsiasi ragionevole ipotesi è senz’altro inferiore a quel che suggeriscono i prezzi dei titoli che hanno dietro i mutui. È possibile calcolare che in molti casi quei prezzi stimano implicitamente una probabilità di perdite pari al 70% dei soldi dati dalle banche per i mutui: un numero assurdo. Ma il mercato ha paura, non vuole toccare quei titoli, i prezzi crollano, il portafoglio di tante società finanziarie e fondi pensione deve registrare quelle perdite, il mercato abbassa il valore degli istituti che hanno dentro quei titoli tossici, e la palla di neve diventa una valanga. La sfiducia si allarga e rischia di infettare le decisioni di spesa di famiglie e imprese, ciò che potrebbe portare verso la recessione.

4) Che cosa si deve intendere per «azzardo morale»?
Quando una banca viene salvata dai poteri pubblici c’è un rischio. Il rischio che così facendo, evitando alla banca la punizione del fallimento, si incoraggino altre banche a correre rischi: tanto, c’è chi le salverà& Tuttavia questa faccenda dell’azzardo morale è molto sopravvalutata. Anche con il salvataggio, i massimi responsabili dell’istituto salvato perdono il posto e gli azionisti delle banche perdono la camicia. Non si può quindi dire che il salvataggio fomenta l’azzardo morale. Sia nel caso della Bear Stearns che nel caso di Fannie Mae-Freddie Mac la punizione di dirigenti e azionisti è stata pesante.

5) Perché le banche falliscono?
Quelle che sono fallite sono soprattutto banche d’investimento, cioè banche che non hanno una base di depositi. Per prestare soldi devono farseli dare prima a prestito: questo porta a un rapporto fra debito e capitale proprio molto alto. Questo “effetto leva” mette quegli istituti in una situazione pericolosa: se la provvista di fondi si inaridisce, e/o i prestatori di fondi alle banche di investimento non rinnovano il prestito, la banca di investimento va in crisi di liquidità. E se i suoi impieghi – per esempio in quelle obbligazioni “tossiche” menzionate sopra – perdono di valore, si può trovare non solo in crisi di liquidità, ma anche in crisi di solvibilità.

6) È realmente in atto una stretta creditizia?
Quando le banche devono registrare perdite sui titoli in portafoglio, queste perdite vengono a ridurre il capitale proprio (anche se le perdite sono solo sulla carta). Riducendo il capitale, proprio, che deve mantenere un certo rapporto con gli impieghi, le banche sono costrette a ridurre i loro prestiti (o ad aumentare il capitale cercando nuovi soci). Di qui il pericolo di una stretta creditizia. Tuttavia questa stretta non vi è stata per quanto riguarda i prestiti alle imprese, che hanno continuato a crescere a tassi a due cifre. I prestiti per mutui sono scesi, ma non perché le banche si rifiutino di farli. Sono scesi perché c’è meno domanda e le bolle immobiliari in giro per il mondo si vanno sgonfiando. Gli impieghi delle banche sono scesi là dove era bene scendessero, per tanti prestiti fatti per operazioni finanziare non produttive.

7) Sarà il contribuente a pagare il conto della crisi?
I salvataggi di banche fatti in America e in Inghilterra hanno suscitato molto biasimo perché, si dice, «pagherà Pantalone ». Tuttavia, questo non è affatto detto. Per esempio, all’inizio degli anni Novanta la Svezia conobbe una gravissima crisi bancaria che portò a massicci salvataggi pubblici e alla nazionalizzazione di molte banche. Queste alla fine vennero rivendute al mercato e lo Stato ci guadagnò sopra. Anche nel caso del salvataggio della Chrysler nel 1979, il contribuente americano alla fine ne ebbe un vantaggio: i prestiti furono rimborsati, e i warrant ricevuti dal Governo furono venduti con profitto. Il salvataggio delle Savings&Loan americane ebbe un costo lungo i molti anni delle procedure della Resolution Trust Corporation, ma un costo relativamente modesto, pari allo 0,6% del Pil del periodo. È perfettamente possibile che il Governo americano finisca con il guadagnare nel caso del salvataggio della Aig e di Fannie Mae-Freddie Mac.

8) I salvataggi fanno aumentare il debito pubblico?
Questa è una leggenda metropolitana. Le passività delle banche nazionalizzate non diventano debito pubblico. Lo dice il buon senso e lo dicono le regole della contabilità nazionale. Fosse così, quando le banche italiane erano pubbliche, i depositi della Comit, per esempio, avrebbero dovuto far parte del debito, pubblico, cosa che certamente non era il caso. Il debito aumenta solo se e quando il processo di smobilitazione delle attività delle società salvate porti a vere perdite, e ciò che non è affatto detto (vedi punto precedente).

9) Cosa deve fare il risparmiatore?
Sul Sole 24 Ore del 19 settembre Marco Liera ha pubblicato un “Decalogo per non farsi travolgere dai crolli”. Il decalogo dice essenzialmente di non farsi tentare né dalle fughe né da acquisti speculativi. E di mettere da parte la lezione sulla volatilità dei mercati e sulla necessità di guardare al lungo termine senza farsi tentare da guadagni facili o angosciarsi per i periodi difficili.

10) Che succederà alle nostre pensioni?
Con il diffondersi della previdenza complementare molti, anche se non sanno esattamente in che cosa ha investito il loro fondo pensione, sono preoccupati per il futuro. Bisogna ricordare, tuttavia, che, a parte qualche poco meritevole eccezione, i fondi pensione hanno investimenti molto diversificati e sono in grado di tenere titoli per lungo tempo. In particolare, per quanto riguarda il mercato azionario, nel lungo periodo questo si è rivelato sempre più remunerativo di altri investimenti. Tanto più oggi quando, con un’opportuna diversificazione per aree geografiche, si può beneficiare della voglia – e della capacità – di crescita dei Paesi emergenti.

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