Che succede se l’acquirente si accorge, solo dopo aver firmato il compromesso (meglio detto, in gergo tecnico, contratto preliminare) che il venditore ha lasciato in sospeso il pagamento di alcune mensilità delle spese condominiali? Può tirarsi indietro o può chiedere una riduzione del prezzo di vendita? Oppure deve prendersela con sé stesso perché non è stato sufficientemente avveduto da informarsi in anticipo di eventuali pendenze con il condominio? Secondo la Cassazione, il promissario acquirente (così si chiama chi firma il preliminare e si impegna a comprare, ossia a firmare il rogito) può pretendere una riduzione del corrispettivo concordato nel compromesso e pari agli oneri condominiali lasciati insoluti. Se il venditore non accorda tale sconto e si rifiuta di firmare il contratto definitivo dal notaio, l’acquirente può rivolgersi al giudice. Il tribunale, in questo caso, disporrà il trasferimento della proprietà dell’immobile, subordinandolo al pagamento del prezzo scontato, ossia detratte le spese condominiali ancora da saldare.
Il codice civile [2], infatti, stabilisce che l’amministratore di condominio può pretendere, dal nuovo proprietario, il pagamento degli oneri condominiali lasciati scoperti dal venditore nell’anno della firma del rogito e in quello precedente. In pratica, in caso di trasferimento dell’appartamento situato nel condominio, l’acquirente è responsabile in solido con il venditore per le somme da quest’ultimo dovute e non pagate, sia per l’anno in corso sia per quello precedente. Per anno si intende l’anno di gestione, e non solare. Tuttavia, in caso di inadempimento e morosità, l’eventuale decreto ingiuntivo deve essere emesso nei soli confronti dell’acquirente [3]. La regola si applica anche al caso di acquisti effettuati attraverso aste per pubblici incanti, come quelle conseguenti ad esecuzione forzata immobiliare.
Proprio perché l’acquirente diventa una sorta di “parafulmine” dei debiti lasciati dal precedente proprietario è bene che si tuteli preventivamente, nell’ipotesi in cui l’amministratore gli chieda – così come è verosimile che avvenga – gli arretrati lasciati insoluti. Così, può chiedere lo sconto sul prezzo al venditore e, se questi non glielo accorda, può rivolgersi al giudice.
LA SENTENZA
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 4 febbraio – 14 settembre 2016, n. 17990
Presidente Felice – Relatore Antonino
Svolgimento del processo
B.G. agiva in giudizio per sentire pronunciare sentenza costitutiva ex art. 2932 cc., relativamente ai beni oggetto di scrittura privata, stipulata il 14 maggio 2002, con M.C. e precisamente: a) un appartamento con accessorio sito in (OMISSIS) ; b) un monolocale con accessorio sito in (OMISSIS) . Il prezzo pattuito era di Euro 36.152,00, di cui era stato corrisposto Euro 20.658,23, a titolo di caparra confirmatoria. Le parti concordavano di stipulare il contratto definitivo entro e non oltre il 31dicembre 2003, allorché era pattuito il versamento del residuo.
M.C. dichiarava di non voler più vendere gli immobili e giustificava il suo rifiuto con la pretesa di controparte di decurtare, dalla somma ancora dovuta, quella dovuta a titolo di spese condominiali.
Il Tribunale di Bologna, sez. staccata di Porretta Terme, con sentenza n. 16 del 2007, riteneva giustificato il rifiuto di B. , accoglieva la domanda ex art. 2932 cc e disponeva il pagamento del residuo prezzo, detratto l’ammontare delle spese condominiali maturate.
Avverso tale sentenza, interponeva appello, M.C. , lamentando la genericità della sentenza di primo grado in ordine alla quantificazione della somma dovuta da B. : la circostanza che controparte aveva intrapreso l’azione giudiziaria prima che fosse interamente decorso il termine contrattuale del 31 dicembre 2003, per la stipulazione del definitivo,contestava, comunque, l’incidenza delle pregresse spese condominiali, essendo le stesse estranee al tema del contratto concluso.
Si costituiva B. eccependo, a giustificazione, di stipulare il contratto definitivo che il M. , all’atto dell’incontro per la stipula del rogito, nella sostanza aveva posto in essere, una proposta di aumento del prezzo della compravendita, motivata dall’aumento del valore del bene.
La Corte di Bologna, con sentenza n. 334 del 2013, rigettava l’appello,confermava la sentenza impugnata e condannava M. al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio. Secondo la Corte di Bologna, M. si era reso inadempiente, proponendo un aumento del prezzo concordato, pari alla sua esposizione per spese nei confronti del Condominio, da trasferire a B. mediante accollo. La sentenza di primo grado conteneva i parametri perla determinazione del residuo prezzo da corrispondere al M. .
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da M.C. per tre motivi. B.M.G. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione in forma semplificata.
1.- M.C. denuncia:
- a) Con il primo motivo di ricorso, la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in ordine al preteso inadempimento del M. e all’inadempimento della B. .
Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto che la signora B. non ha voluto concludere il contratto definitivo pretendendo di modificare ed, anzi, integrare le pattuizioni contenute nel preliminare del 14 maggio 2002, con riferimento alle spese condominiali (per il pagamento delle quali nei rapporti interni tra le parti nulla veniva disciplinato). La sig.ra B. , proprio, offrendosi di pagare l’importo relativo alle spese condominiali di cui M. era debitore, si era rifiutata di corrispondere quanto pattuito. Non solo, ma la Code distrettuale avrebbe, erroneamente, ritenuta irrilevante la comunicazione del M. del 29 dicembre 2003, con la quale avrebbe offerto il proprio adempimento sul presupposto che la clausola contrattuale era divenuta incerta e non era ivi precisata in modo conforme alla previsione contrattuale. Piuttosto, la Corte avrebbe dovuto tener conto che l’offerta effettuata dal M. , contenendo il riferimento al contratto preliminare, non poteva che riferirsi al corrispettivo ivi stabilito.
- b) Con il secondo motivo, la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in ordine al preteso inadempimento del M. e all’inadempimento della B. , in ordine al residuo prezzo di vendita.
Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale nel dedurre, dal prezzo che la B. avrebbe dovuto corrispondere al M. , la somma da questi dovuta a titolo di spese condominiali, avrebbe violato il principio secondo il quale il provvedimento del giudice non può assumere un contenuto tale da realizzare un effetto maggiore o diverso da quello previsto dalle parti e che, per altro verso, eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’esercizio dell’autonomia negoziale delle parti. In realtà, la Corte distrettuale, ancor prima, il Tribunale avrebbero integrato o aggiunto al regolamento contrattuale, di cui al preliminare per cui è causa, una previsione/clausola chele parti non avevano in alcun modo pattuito, ovvero, la possibilità per la signora B. di dedurre dal prezzo residuo di vendita l’importo delle spese condominiali.
1.1.- Entrambi motivi vanno esaminati congiuntamente per l’evidente connessione che esiste tra gli stessi, tanto che l’uno sembra il completamento dell’altro.
Per la verità, entrambi i motivi non sono pienamente riconducibili all’art. 360 n. 5, così come modificato dall’art. 54, comma 1, lett. b e comma 3 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, (convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 83, entrata in vigore il 12.08.2012), secondo il quale il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per “omesso esame circa un fatto decisivo peril giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”, testo che ha sostituito il precedente, per il quale, invece, il ricorso era consentito “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo”, tuttavia, sono infondati, non solo perché si risolvono nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali, non proponibile nel giudizio di cassazione, se, come, nel caso in esame, la valutazione effettuata dalla Corte distrettuale non presenta vizi logici e/o giuridici, ma, soprattutto, perché è pienamente coerente con la normativa di riferimento. Infatti, come ha avuto modo di evidenziare la Corte distrettuale: l’accaduto risulta ben costruito sulla scorta delle dichiarazioni del notaio stante al quale, le parti non stipularono il contratto definitivo di compravendita in quanto erano sorti dei problemi relativamente al pagamento delle spese condominiali che non erano state versate dal M. . La signora B. si offrì di pagare, defalcandone l’importo dal residuo prezzo della vendita, onde evitare azioni esecutive nei propri confronti, ma il M. non aderì a tale proposta. Ricordo che il M. durante l’incontro del 15 dicembre 2003, presso il mio studio, richiese alla B. di accollarsi anche il proprio debito nei confronti del condominio essendosi l’immobile rivalutato nel tempo (…). La sig.ra B. rifiutò di corrispondere il saldo e di sottoscrivere il contratto definitivo perché il M. pretendeva oltre il pagamento del residuo prezzo anche il saldo delle spese condominiali. Sicché, all’evidenza del comportamento tenuto dai contraenti, nella fase dell’esecuzione del contratto preliminare di vendita, così come emergeva dalla deposizione testimoniale, la Corte distrettuale, correttamente, ha ritenuto che nella realtà della vicenda e, in ultima analisi, M. , si era reso inadempiente, proponendo un aumento del prezzo concordato pari alla sua esposizione per spese nei confronti del Condominio da trasferire a B. mediante accollo. Un’interpretazione e ricostruzione della vicenda, corretta ove si pensi, altresì, che la B. , avendo avuto conoscenza di spese condominiali dovute, ma non corrisposte dal M. (era consapevole, tenuto conto del vincolo di solidarietà (art. 63 delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile) esistente tra condomino alienante e condomino acquirente, che sarebbe stata responsabile dell’adempimento di cui si dice, in assenza di patti contrari ed in ragione del principio dell’equo equilibrio contrattuale), legittimamente chiedeva che il bene fosse liberato dagli oneri condominiali, trattenendo le somme necessarie per tale adempimento.
Contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, la B. , in buona sostanza, come pure evidenzia la Corte distrettuale, non si è rifiutata di corrispondere il prezzo pattuito, ma ha legittimamente preteso che il bene compravenduto fosse, come avrebbe dovuto essere, in assenza di patti contrari, libero da pesi,oneri e obblighi di qualunque natura, e/o, comunque, e/o soprattutto, si rifiutava di accettare la proposta avanzata dal M. di un aumento del prezzo concordato.
1.2.- Corretta è, altresì, l’interpretazione (per altro, in quanto interpretazione priva di vizi logici e/o giudici non censurabile nel giudizio di cassazione), che la Corte distrettuale ha effettuato in ordine alla missiva del 29 dicembre 2003con la quale il M. comunicava la propria disponibilità al rogito entro il 31 dicembre 2003 a condizione del saldo intero prezzo, ritenendola insufficiente ad escludere l’inadempimento del M. , posto che la stessa,considerati i rapporti e la conflittualità intercorsa tra i contraenti, era generica e non chiariva se quella disponibilità fosse conforme alla previsione contrattuale. Senza dire, comunque, che quella missiva avrebbe potuto escludere l’inadempimento del M. solo se avesse specificato, come avrebbe dovuto, in ragione dei principi sopra indicati, che il bene era stato liberato dagli obblighi relativi alle spese condominiali non corrisposte dal M. .
2.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità e/o invalidità della sentenza per omessa indicazione della conformità catastale o alternativa attestazione (violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto). Secondo il ricorrente, la sentenza, ai fini del trasferimento immobiliare, sarebbe nulla perché non conterrebbe, come avrebbe dovuto, le indicazioni richieste dall’art. 29 comma 1 bis della legge n. 52 del 1985 secondo il quale: “(..) Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione dei dati catastali e delle planimetrie, può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
2.1.- Il motivo è infondato. Secondo un orientamento diffuso in dottrina la norma di cui al comma 1 bis dell’art. 29 della legge n. 52 del 1985, introdotto con decreto legge n. 78 del2010, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, si riferisce solo agli atti pubblici e alle scritture private (unici titoli idonei alla trascrizione e alla voltura catastale), ma, non anche ai provvedimenti giudiziari di trasferimento di diritti reali, i quali, invece, null’altro dovrebbero contenere se non l’indicazione dei dati catastali, non essendo immaginabile che un atto giudiziario contenga alcuna dichiarazione e/o attestazione di un tecnico.
Tuttavia, considerato che la ratio legis è quella di assicurare la c.d. congruenza o coerenza oggettiva e soggettiva delle risultanze catastali rispetto ai dati ricavabili dai registri immobiliari, “l’esclusione”, appena indicata, non appare condivisibile, almeno nella forma assoluta, per gli inevitabili inconvenienti che ciò potrebbe comportare. Piuttosto, appare ragionevole ritenere che, per gli atti giudiziari di trasferimento di diritti reali (sentenza o decreti), l’accertamento richiesto dalla legge, più che essere riferito nell’atto giudiziario, è necessario che sia stato acquisito al processo. Con la conseguenza che, il mancato riferimento, nell’atto giudiziale di trasferimento, dei dati di cui alla normativa in esame non determinerebbe un vizio dell’atto giudiziario, nel caso in esame, della sentenza, ma l’omesso accertamento di un fatto decisivo per il giudizio.
Ora, nel caso in esame, se quell’accertamento sia stato effettuato o no, non è certo consentito verificarlo in sede di legittimità, per i limiti di questo giudizio, ma, anche perché il ricorrente, essendosi limitato ad evidenziare chela sentenza non conteneva il riferimento alla planimetria e la dichiarazione dell’intestatario del bene della conformità della planimetria ai dai catastali,non ha denunciato l’eventuale mancato accertamento della sussistenza dei dati di cui si dice. Senza dire, che la normativa in esame è intervenuta, successivamente, alla sentenza di primo grado che aveva disposto il trasferimento del bene ex art. 2932 cc. e, dunque, non solo quel trasferimento non avrebbe potuto essere interessato da una normativa successiva, ma neppure il Giudice di appello avrebbe potuto ampliare l’indagine oltre il devolutum.
In definitiva, il ricorso va rigettato e in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cpc. il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che vengono liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a rimborsare a B.M.G. le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
[1] Cass. sent. n. 17990/16 del 14.09.2016.
[2] Art. 63 co. 4 disp. att. cod. civ.
[3] Cass. sent. n. 23345/2008.
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