L’amministratore di condominio. L’analisi dei requisiti per la nomina e la revoca. Sono possibili le dimissioni? I rischi delle “anticipazioni” economiche effettuate dall’amministratore personalmente.
Avv. Paolo Accoti scrive…
La materia condominiale è stata oggetto di profonda riforma dalla Legge 11 dicembre 2012 n. 220, entrata in vigore il 18 giugno 2013, che ha modificato il capo del codice civile dedicato al condominio negli edifici (artt. 1117 e ss.).
Le modifiche hanno riguardato diversi aspetti della disciplina condominiale e, in particolare, l’ amministrazione dello stabile, per il quale si registrano ulteriori interventi regolamentari.
Cerchiamo brevemente di inquadrare la figura dell’amministratore di condominio e la natura giuridica dell’incarico.
Per come si evince dall’art. 1130 c.c., l’amministratore è l’organo di gestione e rappresentanza del condominio; la sua figura è riconducibile a quella del mandatario con rappresentanza, per come evincibile anche dal disposto dell’art. 1129 c.c. il quale, per tutto quanto non espressamente disciplinato rimanda, appunto, alle norme sul mandato (artt. 1703-1741).
In altri termini, l’ amministratore di condominio è quella figura (mandatario) che, in virtù di contratto, si obbliga a compiere uno o più atti giuridici nell’interesse di un altro soggetto (mandante).
Nel previgente regime, nel silenzio della legge, tutti potevano ricoprire siffatto incarico, considerato che non erano richiesti particolari requisiti, fatta salva la capacità d’agire. Con l’attuale disciplina e, in particolare, con la formulazione dell’art. 71 bis disp. att. c.c., sono stati stabiliti i requisiti minimi per poter rivestire detto incarico:
“Possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio coloro:
a) che hanno il godimento dei diritti civili;
b) che non sono stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni;
c) che non sono stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione;
d) che non sono interdetti o inabilitati;
e) il cui nome non risulta annotato nell’elenco dei protesti cambiari;
f) che hanno conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado;
g) che hanno frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale.
I requisiti di cui alle lettere f) e g) del primo comma non sono necessari qualora l’amministratore sia nominato tra i condomini dello stabile.
Possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio anche le società di cui al titolo v del libro v del codice.
In tal caso, i requisiti devono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condominii a favore dei quali la società presta i servizi…”.
E’ chiaro che con la riforma il legislatore abbia voluto dare un taglio più specialistico a questa figura e, in particolare, per coloro i quali gestiscono più di un condominio, come gli amministratori professionali. Al contrario, per coloro che svolgono detto compito in via occasionale, si fa esplicito riferimento al solo caso in cui ad amministrare il condominio sia nominato uno dei partecipanti, questi non avrà bisogno di una particolare istruzione scolastica né di una specifica formazione.
Qualora viene meno anche uno solo dei requisiti (essenzialmente morali) di cui alle lettere da a) ad e), l’amministratore cessa dall’incarico e ciascun condomino, senza formalità particolari, può convocare l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore. Si ritiene, tuttavia, che fino alla nomina del nuovo amministratore, il precedente, se pur cessato di diritto dalla carica, in virtù dell’istituto della prorogatio imperii sia comunque tenuto ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni ma, comunque, senza diritto ad ulteriori compensi.
La riforma ha cercato di disciplinare ogni singolo aspetto della vita in condominio, partendo proprio dal suo amministratore, per il quale sono previsti obblighi sempre più stringenti, probabilmente a cagione della peculiarità della figura che, spesso, non gode di eccessive simpatie: “Una ricerca presentata a Made Expo da Accelera, su incarico di Manager Immobiliari, su un campione di 300 famiglie in tutta Italia, il 53,7% “tutto sommato” apprezzano la figura dell’amministratore, il 51,7% lo ritiene “abbastanza” trasparente. Ma quando gli si chiede se lo consiglierebbe a parenti ed amici ben il 44,9% dice no. E per il 76,9% il suo compenso è sconosciuto (Fr. Ma.Gr.)” (Fonte: Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore).
Come accennato, chi vuole intraprendere detta carriera, sia in forma individuale che societaria – nel qual caso i requisiti dovranno essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condominii a favore dei quali la società presta i servizi – deve partecipare ad un corso di formazione iniziale della durata di almeno 72 ore e, successivamente, con cadenza annuale, frequentare corsi di aggiornamento di almeno 15 ore (art. 5 DM 140/2014).
La formazione iniziale è obbligatoria per (quasi) tutti gli amministratori, ne sono esentati colori i quali hanno svolto tale attività, per almeno un anno, nel periodo compreso tra il 18 giugno 2010 e il 18 giugno 2013, mentre i corsi di aggiornamento sono indispensabili per la generalità degli stessi.
Con una nota diffusa sul sito del Ministero della giustizia, in data 14 ottobre 2014, si è ufficialmente dato inizio ai predetti corsi, con la necessità dell’invio al Ministero – a mezzo pec – dell’indicazione dei dati relativi ai corsi di formazione e, nello specifico: la data di inizio; le modalità di svolgimento; il nominativo dei formatori e dei responsabili scientifici.
Ma passiamo alle modalità di nomina dell’amministratore.
Ricordiamo dapprima che la nomina dell’amministratore è vincolante quando i condomini sono più di otto (i condomini proprietari di più immobili nel medesimo stabile, ai fini del calcolo, vengono considerati sempre come una sola unità) e, in caso di inerzia dell’assemblea, la nomina può essere fatta dall’autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condomini ovvero dell’amministratore dimissionario.
Chiaramente, essendo l’atto di nomina un atto privatistico (se pur condizionato da preminenti interessi sociali nel caso i condomini siano più di otto, così si giustifica l’intervento dell’autorità giudiziaria nei casi di inattività dell’assemblea), rimane nella facoltà dei condomini incaricare un amministratore quand’anche non si raggiunga il numero di condomini necessario a far scattare l’obbligo della nomina.
Nell ‘ipotesi di nomina obbligatoria dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1136 c. IV c.p.c., è necessaria la maggioranza dei condomini intervenuti in assemblea che rappresenti almeno la metà dei millesimi degli appartenenti al condominio (500).
La nuova formulazione dell’art. 1136 c.c., che ha ridotto il quorum necessario alla regolare costituzione dell’assemblea, pur lasciando inalterato quello per la validità delle deliberazioni, non ha risolto i dubbi interpretativi emersi ante riforma in relazione alle maggioranze necessarie per la nomina dell’amministratore in seconda convocazione; da un lato, infatti, si sosteneva che nelle materie indicate dall’art. 1136 c. IV c.c., tra le quali la nomina dell’amministratore, per le deliberazioni assunte in seconda convocazione il richiamo alle maggioranze stabilite dall’art. 1136 c. II c.c. non valeva ad estendere il quorum costitutivo dell’assemblea in prima convocazione (Cass. 09/02/1980, n. 901; Cass. 26/04/1994, n. 3952), dall’altro, in particolare la dottrina, condivisa da parte della giurisprudenza (Cass. 04/05/1994, n. 4269), sosteneva che, dal combinato disposto dagli artt. 1129, 1136 e 1138 c.c., non sarebbe stata possibile una investitura con maggioranze diverse da quelle indicate dall’art. 1136 c. II e IV c.c.
Come detto, la modifica del 2012 non ha risolto detti dubbi interpretativi, tuttavia, anche in virtù della ratio della riforma che, per semplificare la vita in condominio ha inteso abbassare i quorum costitutivi, appare preferibile la tesi che ritiene applicabile in seconda convocazione il (nuovo) disposto dell’art. 1136 c. III c.c., e tanto anche per non ostacolare le attività condominiali con maggioranze troppo elevate.
Viceversa, quando i condomini sono meno di otto e, quindi, in ipotesi di nomina facoltativa (si pensi ad esempio al condominio minimo con soli due partecipanti), sembrerebbero non necessarie per la validità della nomina le anzidette maggioranze qualificate, dovendosi piuttosto fare riferimento a quelle per la comunione (artt. 1105 e segg.) e, pertanto, la maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle loro quote.
Nel caso in cui, per i più svariati motivi, l’assemblea non riesca a nominare un amministratore la nomina è fatta dall’autorità giudiziaria (art. 1129 c. I c.c.), con ricorso – anche di un solo condomino – secondo le modalità di cui all’art. 59 disp. att. c.c.: "La domanda per la nomina dell’amministratore …. , se non è proposta in corso di giudizio, si propone con ricorso al presidente del tribunale: nel caso di nomina dell’amministratore, al presidente del tribunale del luogo in cui si trovano gli immobili o si trova la parte più rilevante di essi. Il presidente del tribunale provvede con decreto, sentita l’altra parte. Contro tale provvedimento si può proporre reclamo al presidente della corte d’appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione".
L’ amministratore dura in carica 1 anno – da intendersi quale anno solare (365 giorni) – con rinnovo tacito del suo mandato di eguale durata (1 + 1) se l’assemblea non decide di revocarlo.
Detta norma ha risolto i dubbi interpretativi sollevati dalla precedente formulazione dell’art. 1129 c.c. – laddove si dibatteva se la nomina e la conferma dell’amministratore fossero assoggettate alle stesse maggioranze (la Cassazione si era espressa in senso affermativo avendo effetti giuridici identici: Cass. 4/04/1994 n. 4269) -, infatti, decorsa la doppia annualità, l’amministratore cessa ex lege dall’incarico ed è tenuto a convocare l’assemblea del condomini per la nomina del nuovo amministratore che, ovviamente, può essere lo stesso.
Nelle more, e fino alla nomina del nuovo amministratore, l’uscente protrae le sue funzioni in virtù dell’istituto della prorogatio visto prima, questa volta con diritto al regolare compenso. A tal proposito giova ricordare che l’amministratore conserva i suoi poteri anche nel caso la delibera di nomina o revoca sia stata impugnata davanti all’autorità giudiziaria ovvero se decaduto per scadenza del mandato (Cass. 14/05/2014 n. 10607).
L’art. 1129 c.c., all’undicesimo comma, stabilisce come e perché l’amministratore può essere revocato.
1) Innanzitutto per volontà dell’assemblea in qualsiasi momento con le maggioranze previste per la sua nomina.
E’ il caso in cui viene meno il “gradimento” da parte dei condomini;
2) su ricorso all’autorità giudiziaria (tribunale), da parte di ciascun condomino, allorquando non comunica all’assemblea i provvedimenti dell’autorità amministrativa o citazioni che esulano dalle sue attribuzioni (art. 1131 c.c.) ovvero in caso di omessa rendicontazione o gravi irregolarità;
3) sempre dall’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, ma solo dopo convocazione dell’assemblea con esito negativo (una sorta di condizione di procedibilità), in caso siano emerse gravi irregolarità fiscali imputate all’amministratore o per la mancata apertura ed utilizzazione del conto intestato al condominio. Nel qual caso, l’accoglimento della domanda, abilita il ricorrente alla rivalsa delle spese legali nei confronti del condominio che, a sua volta, avrà titolo per rifarsi nei confronti dell’amministratore revocato.
Il provvedimento di revoca da parte dell’autorità giudiziaria, rientrando nell’alveo della volontaria giurisdizione, risulta reclamabile avanti la corte d’appello che decide con decreto non ricorribile per cassazione, ad eccezione del capo relativo alle eventuali statuizioni sulle spese di giudizio.
L’art. 1129 c.c. specifica quali possono essere le “gravi irregolarità”, si tratta, tuttavia, di ipotesi non esaustive, ulteriori fattispecie infatti sono state enucleate nel tempo dalla giurisprudenza.
Tra queste la norma richiamata contempla:
1) l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale, il ripetuto rifiuto di convocare l’assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge;
2) la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni dell’assemblea;
3) la mancata apertura ed utilizzazione del conto di cui al settimo comma;
4) la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomini;
5) l’aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio;
6) qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l’aver omesso di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva;
7) l’inottemperanza agli obblighi di cui all’articolo 1130, numeri 6), 7) e 9); 8) l’omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al secondo comma del presente articolo.
Nei giudizi di revoca giova ricordare che legittimato passivo è solo l’amministratore di condominio, per cui non risulta necessaria alcuna delibera o ratifica da parte dell’assemblea in merito alla costituzione in giudizio dello stesso e che, versando in ipotesi di risoluzione contrattuale, l’onere della prova è a carico del condomino(i) ricorrente.
Il menzionato art. 1129 c.c. dispone, infine, che l’assemblea, in caso di revoca da parte dell’autorità giudiziaria, non può nominare nuovamente l’amministratore revocato.
Per completezza, si rammenta che l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta.
Deve vieppiù comunicare i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale, o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione, il locale ove si trovano i registri di anagrafe condominiale, dei verbali delle assemblee, di nomina e revoca dell’amministratore e del registro di contabilità, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all’amministratore, può prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata.
L’ amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino, per il tramite dell’amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica.
Alla cessazione dell’ incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi.
Passiamo, infine, al caso delle dimissioni dell’amministratore.
Appare evidente che la nomina ad amministratore di condominio non rappresenta né una investitura divina, potendo essere revocato in qualsiasi momento dall’assemblea ma, neppure, una prigionia (paradossale ritenere che la carica sia irrinunciabile), ben potendo lo stesso dimettersi.
Ciò avviene principalmente nel caso in cui i condomini si disinteressano totalmente alla vita condominiale, non partecipando alle assemblee e, soprattutto, non versando le quote condominiali necessarie alla gestione del condominio.
In proposito un breve inciso.
In simili fattispecie occorrerebbe intervenire tempestivamente riunendo l’assemblea – anche in via straordinaria – al fine di reperire le somme necessarie all’esistenza in vita del condominio e avviare, contestualmente, tutte le procedure per il recupero coattivo del credito nei confronti del condomino moroso; magari fino alle estreme conseguenze, con il pignoramento dell’immobile in caso di persistente morosità.
Tuttavia queste procedure risultano oltre modo dispendiose, sia in termini economici che di tempo, pertanto, si è diffuso l’insano metodo di far fronte alle spese condominiali correnti con fondi personali dell’amministratore.
I motivi di detta pratica risultano facilmente comprensibili, primo tra tutti quello di non “inimicarsi” i condomini che risultano in regola con i pagamenti, sui quali normalmente andrebbero ribaltate e ripartite le quote di pertinenza dei condomini morosi e ciò per far fronte alle spese quotidiane dello stabile (energia elettrica, pulizia, amministrazione, manutenzione, ecc.).
Il più delle volte, quindi, per sopperire alla carenza di liquidità del condominio, l’amministratore provvede personalmente a ripianare le casse condominiali deficitarie, salvo poi esigere la restituzione delle anticipazioni effettuate una volta revocato ovvero dimessosi.
Questo modus operandi potrebbe risultare estremamente incauto e non privo di sorprese, stante le difficoltà che si potrebbero incontrare nel recupero del credito.
La giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto richiede, infatti, la prova rigorosa delle anticipazioni effettuate dall’amministratore.
Appare pleonastico ricordare come le singole partite di spesa devono essere sempre preventivamente approvate dall’assemblea, salvo i casi di urgenza, comunque anch’essi da dimostrare. In mancanza il credito non potrebbe essere considerato esigibile.
Tanto è vero che, l’amministratore di condominio non ha – salvo quanto previsto dagli artt. 1130 e 1135 c.c. in tema di lavori urgenti – un generale potere di spesa, in quanto spetta all’assemblea condominiale il compito generale non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di valutare l’opportunità delle spese sostenute dall’amministratore; ne consegue che, in assenza di una deliberazione dell’assemblea, l’amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute (Cass. 27/06/2011 n. 14197).
E’ pur vero che l’approvazione del rendiconto ha valore di riconoscimento di debito, ma ciò solo per le poste passive specificamente indicate. Pertanto, non è sufficiente che il rendiconto di cassa presenti un disavanzo tra uscite ed entrate, atteso che non si può ritenere in via deduttiva che la differenza sia stata versata dall’amministratore utilizzando denaro proprio, ovvero che questi sia comunque creditore del condominio per l’importo corrispondente, atteso che la ricognizione di debito, sebbene possa essere manifestata anche in forma non espressa, richiede pur sempre un atto di volizione su di un oggetto specificamente sottoposto all’esame dell’organo collettivo, chiamato a pronunciarsi su di esso.
Ciò posto l’approvazione del rendiconto dell’amministratore recante un importo di spese superiore a quello dei contributi condominiali pagati dai condomini, può valere come riconoscimento di debito da parte di tutti i condomini in favore dell’amministratore, ma solo limitatamente alle poste a debito dei condomini che siano state indicate nel rendiconto con sufficiente specificità e chiarezza (Cass. 09/05/2011 n. 10153. Si confronti anche: Cass. 28/05/2012 n. 8498; Cass. 04/07/2014 n. 15401).
In assenza dei requisiti e delle specificità delineate dalla giurisprudenza di legittimità l’eventuale credito dell’amministratore, rinveniente dalle anticipazioni effettuate in favore del condominio, potrebbe non risultare esigibile.
Come dicevano, le prospettate difficoltà nella gestione del condominio spesso portano gli amministratori più accorti a rassegnare le dimissioni.
Nella previgente disciplina condominiale, ma anche nell’attuale, salvo un vago riferimento (peraltro procedurale) nel novellato art. 1129 c. I c.c., il legislatore non ha disciplinato la suddetta ipotesi di dimissioni, tuttavia, non può ritenersi pensabile che lo stesso sia vincolato “a vita” alle sorti del condominio.
Occorre, infatti, sempre tenere ben presente – come detto – che la figura dell’amministratore è riconducibile a quella del mandatario con rappresentanza, pertanto, per tutto quanto non espressamente regolato dalla speciale disciplina “Del condominio negli edifici”, si deve fare riferimento alle norme generali sul mandato (artt. 1703-1741), ora come allora.
Specie nei casi sopra visti di diffusa morosità dei condomini, nell’impossibilità di gestire normalmente la cosa comune, le dimissioni possono e debbono essere giustificate dalla circostanza per la quale il mandante (condominio) è tenuto a fornire al mandatario (amministratore) i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni (art. 1719).
Nella ricorrenza di questi presupposti l’amministratore dimissionario non deve fare altro che comunicare formalmente al condominio la propria volontà e, quindi, convocare l’assemblea perché provveda alla nomina del nuovo amministratore.
Nell’inerzia dell’assemblea l’amministratore, già nel sistema normativo previgente e, a maggior ragione, in quello attuale (art. 1129 c. I c.c.), può adire l’autorità giudiziaria affinché provveda alla nomina del suo successore.
Tale giudizio – inquadrabile nei procedimenti di volontaria giurisdizione, di natura camerale e non contenziosa – viene definito innanzi al tribunale dove ha sede l’immobile, anche con la refusione delle spese giudiziali (cfr.: Cass. 26/06/2006 n. 14742) sostenute dal ricorrente che, pertanto, dovrebbe essere tenuto indenne da qualsiasi esborso economico.
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