«È un peccato che in campagna elettorale non si parli di Europa. A Bruxelles si prendono decisioni sul nostro futuro». Lo ha detto Mario Monti che è tornato a mettersi il loden dopo aver bevuto una birra in tivù con la Bignardi e dopo aver adottato il suo bravo cucciolo elettorale. Si tratta di una frase manifesto per il Professore, una frase che lo riporta al suo curriculum, impreziosito da incarichi illustri in Goldman Sachs, nei club Bilderberg e Trilateral e in altre multinazionali.
È vero, a Bruxelles si prendono decisioni importanti. E sono tutte decisioni che piovono sulla testa dei cittadini, i quali da tempo sono passati dalla eurosbornia all’eurocrisi. Avrebbe un gran senso discutere di Europa, ma è privo di senso discuterne nei termini in cui lo vorrebbe fare Mario Monti, cioè guai a metterla in discussione. Guai a discutere quelle decisioni che vengono prese a Bruxelles. Perché è questo ciò che sta accadendo nel Vecchio Continente: le politiche di austerity ordinate dai tecnocrati hanno messo in ginocchio le economie col risultato di creare solo un danno produttivo, occupazionale e quindi sociale. Eccola l’Europa che dà le carte e di cui non si può parlare male. Non è vero, infatti, che in campagna elettorale non si parli di Europa: Berlusconi la sua visione europeista l’ha data (confusa e altalenante, per la verità, ma va ammesso che l’uomo non si tira indietro quando sono da individuarne i mali) e pure Beppe Grillo lo sta facendo arrivando – unico – a inserire nel programma un referendum consultivo sull’euro e addirittura a parlare di ritorno a una sovranità monetaria.
Quindi se ne parla eccome: magari poco nei dibattiti televisivi tradizionali e molto nella rete dove il fanatismo europeista non attecchisce proprio per la liberissima circolazione di voci e filmati di segno diverso. Molto cliccati sono i filmati di Nigel Farage contro i vertici dell’eurocrazia, per esempio. Così come vanno forte i siti contro l’euro, quali byoblu.com o paolobarnard.info o ancora goofynomics.com; per non dire delle voci di Loretta Napoleoni, Paolo Becchi, Emiliano Brancaccio o Nino Galloni tanto per citarne alcune. Insomma, molto si muove nel panorama alternativo alle tesi di Monti, di Draghi, della Bce e del Fondo monetario, tesi che hanno portato alla depressione dell’eurozona a vantaggio dell’economia tedesca e di pochissimi altri.
In Europa è in corso un dibattito assai serrato sulla moneta unica e sulla sua rigidità, in Italia questo dibattito è soffocato dalla propaganda montiana secondo la quale saremmo finiti come la Grecia. Ovviamente nulla di tutto questo è vero. È vero invece il contrario e cioè che le politiche di austerity hanno aggravato le condizioni economiche e sociali dei cittadini. È vero che l’Europa ha chiusi entrambi gli occhi allorquando venivano concessi soldi pubblici per ripianare le banche e di contro si sollevava il divieto agli aiuti di Stato se qualcuno proponeva un finanziamento a favore dei distretti produttivi in difficoltà. Di esempi del genere ve ne sono diversi ma il dibattito è chiuso sul nascere; così come è vietato ricordare la totale mancanza di legittimazione popolare dell’euro e dell’Europa finanziaria. Di cui Mario Monti è portabandiera assoluto.
Domenica scorsa su Repubblica, Federico Rampini raccontava quanto segue: «Per sopravvivere sui mercati mondiali il made in Italy ha urgente bisogno di un euro più debole: è ormai assodato anche a Wall Street». E ancora: «Occorre una svalutazione del 10 per cento rispetto ai livelli attuali». Per chi scrive, questo concetto è ovvio da tempo. Così come è ovvio che in una crisi di sistema proseguire oltre con tali politiche è da folli. A meno che non si voglia coscientemente tenere in ginocchio il made in Italy. Monti è disposto amettere in discussione le sue personali convinzioni? È disposto, lui che è espressione del sistema finanziario, a confrontarsi con l’economia reale? Al di là dei siparietti elettorali, la sostanza di quand’era al governo è ben diversa: il premier nei salotti della finanza, nei capannoni nessuno. Alle banche in difficoltà soldi soldi e ancora soldi; agli imprenditori tasse tasse e ancora tasse.
E perché tutte queste tasse? Semplice: per tenere fede ai suoi impegni europei, dal pareggio di bilancio al fondo salva stati. Vuole parlare di Europa? Bene, allora cominciamo da una domanda: perché la finanza va salvata mentre i distretti produttivi possono saltare per aria come birilli?
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