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Così il laboratorio diventa soggiorno

Il Sole 24 ore

Metamorfosi edilizie per aggirare la crisi. Abitazioni, ricavate dal cambio di destinazione d’uso di un ex garage, di un negozio sfitto o di un vecchio laboratorio artigianale. Il recupero degli spazi è un’arte che mette alla prova interior designer, architetti ed esperti di urbanistica, con l’obiettivo di far fruttare al meglio l’investimento immobiliare in tempi di scarse disponibilità economiche.

Le tendenze
A Carignano, sulle prime colline tra la città di Lucca e il monte Quiesa, un fienile e una stalla per le mucche sono stati trasformati in un’accogliente abitazione su due livelli dall’architetto Mauro Manfrin. La conversione dei volumi esistenti, attraverso forme di riequilibrio urbanistico e senza ulteriore consumo di suolo, è da sempre sostenuta dai tecnici dell’Istituto nazionale di Urbanistica: «A seguito dell’abbandono delle attività agricole in campagna, molti casali e vecchie cascine restano abbandonati in attesa di un cambio di destinazione d’uso», commenta Giuseppe De Luca dell’Inu. Accade lo stesso a numerosi piani terra di edifici costruiti negli anni ’60-’70 nei centri storici. «Fagocitati dai centri commerciali aggregati – aggiunge De Luca – molti esercizi di vicinato sono rimasti vuoti. Si tratta di tagli molto piccoli, tra i 50 e i 100 metri quadri, e quindi molto appetibili».

Laddove la conversione è resa possibile dai piani regolatori comunali, acquistare un ex negozio potrebbe rivelarsi un affare: l’agenzia immobiliare Habitat vende a Milano un ex negozio di 75 metri quadri trasformato in abitazione a 179mila euro. Sono 5.700, inoltre, gli annunci pubblicati su Immobiliare.it (il 12% dell’offerta totale) che riportano l’indicazione «possibile la trasformazione da uso ufficio a residenziale»: rispetto a gennaio 2011 sono cresciuti del 5 per cento. Esempi già realizati di moderni recuperi si possono trovare in molte città italiane: dall’ex cantina all’ufficio dismesso, la tendenza è in crescita sul territorio nazionale (vedi i casi a destra).

Il nodo normativo
A livello nazionale i cambi d’uso sono normati principalmente dal Testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001). E implicano modifiche agli standard edilizi previsti dal Dm 1444/68: che siano parziali o totali, la loro autorizzazione dipende dalle leggi regionali e, nel dettaglio, dai piani regolatori comunali che possono essere più o meno permissivi (vedi scheda).

A Milano, ad esempio, per il cambio d’uso senza opere basta una semplice comunicazione di inizio attività (ai sensi degli artt. 51 e 52.2 della legge regionale 12/05 e dell’art. 13 del regolamento edilizio), ma le regole poi possono cambiare da zona a zona: sui Navigli, ad esempio, si applicano vincoli più rigidi. A Siena, invece, la trasformazione in residenza di un primo piano è ammessa solo a condizione che l’accesso non sia direttamente dalla strada e le finestre sulla pubblica via non devono consentire l’introspezione.

Lo slalom tra le norme locali continua nel Lazio, dove i cambi d’uso possono essere effettuati solamente dopo 10 anni dalla realizzazione dell’immobile. Le norme poi cambiano nel tempo: «A Firenze fino a qualche anno fa era possibile trasformare in abitazioni i negozi e i magazzini inutilizzati ai piani terra – racconta De Luca – ma l’ultimo regolamento urbanistico ha bloccato tutto, imponendo che all’interno ci sia trasversalità di luce (est/ovest o nord/sud, ndr)».

I permessi e vincoli
A fare una notevole differenza, in questi casi, è se l’intervento genera o meno opere edilizie. Trasformare uno studio in abitazione senza effettuare lavori interni è più facile e quasi sempre consentito. Ma se il cambio d’uso presuppone un differente carico urbanistico i permessi si complicano: una famiglia 24 ore su 24 genera un flusso diverso da quello di un ufficio, di persone e liquidi (fogne e scarichi); potrebbe essere necessario un nuovo impianto, un bagno, lo spostamento di un tramezzo o la realizzazione di una parete attrezzata per la cucina o la lavatrice. In questo caso l’operazione richiede quasi sempre il rilascio di un permesso di costruire o la Scia, oltre al pagamento di un contributo per gli oneri di urbanizzazione e al costo dei lavori di ristrutturazione.

L’aggrovigliato ventaglio dei vincoli locali definisce le condizioni per ottenere l’agibilità. A questo si aggiunge la verifica delle caratteristiche igienico-sanitarie, in capo alle Asl. E la necessità, ottenuto il cambio d’uso, di aggiornare la situazione catastale dell’immobile. Per un immobile non residenziale le banche potrebbero poi frenare la concessione del mutuo e, ovviamente, se si acquista un immobile a uso diverso per poi renderlo abitativo in un secondo tempo, non si ha diritto agli sconti "prima casa".

Alcuni regolamenti di condominio, infine, sono particolarmente rigidi e impediscono il cambio di destinazione d’uso ai piani alti oppure non prevedono la possibilità di ospitare negozi, attività di culto oppure studi medici. Potrebbe quindi essere necessario, al di là del piano regolatore, chiedere preventivamente il parere dell’assemblea condominiale e – in caso di regolamento di tipo contrattuale – ottenere l’assenso unanime dei condomini.

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