Colin Crounch usa questo termine per indicare il fatto che la democrazia attuale è caratterizzata dall’ influenza crescente delle èlites economiche sulle decisioni politiche.
Queste (le decisioni politiche), vengono prese in gran parte in base alle interazioni tra i politici eletti e i gruppi privati che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici, mentre si va riducendo sempre di più la possibilità per la gran massa delle persone di partecipare, non solo con il voto ma anche attraverso la discussione e le organizzazioni autonome, alla definizione delle scelte pubbliche.
La postdemocrazia non è democrazia, nel senso che ha fatto regredire la gestione della cosa pubblica a una situazione predemocratica, in cui essa era appannaggio di èlites chiuse.
Il ruolo dei cittadini è divenuto quello di essere sollecitati al voto da campagne martellanti gestite da professionisti della comunicazione, che orientano il dibattito pubblico su una serie limitata di temi prestabiliti.
Al di fuori dei rituali elettorali ai cittadini è richiesto un ruolo passivo, acquiescente, apatico.
Prevedibilmente la postdemocrazia produce un senso di esclusione, delusione, impotenza che radica sempre più profondamente la crisi attuale della politica quanto a partecipazione, legittimità, fiducia da parte dei cittadini.
In questa situazione le decisioni politiche che vengono prese non sono quelle che proteggono i vasti e dispersi interessi della gente, ma quelle che proteggono interessi economici forti e concentrati.
E’ la postdemocrazia la ragione principale per la quale decisioni come il bando della pubblicità diretta ai bambini tendono a non essere prese.
Esse colpirebbero i potenti interessi dell’ industria pubblicitaria e delle multinazionali – che della pubblicità sono i primi finanziatori – a tutto vantaggio del benessere dei nostri bambini.
Più in generale, la postdemocrazia è il freno principale all’ attuazione delle politiche relazionali.
La postdemocrazia è un pilastro delle istituzioni del capitalismo NEG (Circolo economico negativo che abbatte sempre di più il valore dei beni relazionali a vantaggio della produzione economica, ossia il PIL).
Essa ci induce ad occuparci di fare soldi anzichè di costruire un mondo più vivibile, nonostante sia evidente che ciò di cui avremmo bisogno sarebbe un mondo più vivibile e non più prosperità economica.
Il problema è che il modo che abbiamo per costruire un mondo più vivibile è agire collettivamente; la politica è la forma più importante di azione collettiva ma la postdemocrazia è il fallimento della politica nel rappresentare gli interessi della gente comune, che sono quelli di rendere la società un luogo più vivibile.
La politica è consegnata invece all’ interesse dei grandi poteri economici che è quello di fare profitti.
Profitti privati che spesso prosperano sulle macerie della vivibilità comune.
Dunque la postdemocrazia scoraggia l’ azione collettiva finalizzata a produrre un mondo più vivibile.
Quello che rimane è fare soldi.
Visto che il mondo è spacciato, cerchiamo di cavarcela almeno come individui.
Così la postdemocrazia nutre la corsa al denaro.
Perchè un sistema inventato per far partecipare la gente comune agli affari di Stato si è trasformato in un nuovo modello per escluderla?
Per una questione di soldi.
I partiti hanno bisogno di denaro soprattutto perchè i costi della campagne elettorali sono cresciuti al di fuori di ogni controllo in Occidente.
E le grandi imprese sono degli ottimi finanziatori.
Questo a sua volta rende i partiti molto sensibili ai loro interessi.
La democrazia va cambiata! Come?
Un’ opportuna combinazione di finanziamento pubblico ai partiti, regolamentazione del loro accesso ai media, bassi tetti alle loro spese, potrebbe ottenere buoni risultati.
Il finanziamento pubblico è necessario per ridurre la dipendenza dei partiti dal big businnes.
Anche la limitazione alle loro spese ha uno scopo analogo, così come la regolazione dell’ uso dei media: entrambe tendono a ridurre i costi della politica.
Ad esempio, in molti paesi la spesa principale dei partiti è la pubblicità televisiva durante le campagne elettorali, che potrebbe essere proibita.
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