La normativa in materia di finestre (artt. 900 ss. c.c.) «contempera sia l’esigenza del proprietario dell’immobile di ricevere aria e luce, sia l’esigenza del proprietario vicino di non essere esposto alla curiosità altrui» (CUSANO).
Le finestre o le altre aperture sono di due specie: luci, quando danno passaggio a luce ed aria, ma non permettono di affacciarsi sulla proprietà del vicino; vedute o prospetti, quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente.
Giurisprudenza
La giurisprudenza ha affermato, al fine di precisarne la definizione, che si ha veduta o prospetto quando la finestra permette ad una persona di statura normale di affacciarsi o di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente in modo comodo e sicuro (Cass. 23-2-1983, n. 1382).
Quanto al rispetto delle distanze legali, va sottolineato che al fine di aprire luci non occorre osservare distanze dal fondo del vicino, mentre relativamente alle vedute devono essere osservate le limitazioni imposte dagli artt. 905, 906, 907 c.c. In particolare, «se non c’è di mezzo una pubblica via e tenendo presente che una finestra ha una visuale diretta e due oblique, occorre una distanza di un metro e mezzo dal fondo del vicino quando si tratta di una visuale diretta; quando invece il fondo del vicino può essere visto solo obliquamente, va osservata la distanza di settantacinque centimetri» (CUSANO).
Proprietà
Le finestre (ed i relativi vetri, le tapparelle, le persiane e gli scuri) appartengono ai proprietari degli appartamenti cui esse servono; se, invece, servono parti comuni dell’edificio (come ad esempio le scale o l’alloggio del portiere), sono da considerarsi di proprietà comune.
Aperture e opere di trasformazione
Ciascun condòmino può aprire nel muro comune, ai sensi dell’art. 1102 c.c., una finestra destinata a servire la sua proprietà esclusiva, qualora non sia pregiudicata la funzione statica ed estetica che l’intero edificio assolve nell’interesse di tutti i partecipanti alla comunione (App. Roma 29-5-1958). È inoltre necessario che non vengano a crearsi servitù prima inesistenti, e che le finestre siano aperte nel rispetto delle norme sulle distanze legali.
Fattispecie assai ricorrente nella pratica è quella della trasformazione di una o più finestre in balconi o terrazzi. Qualora tale trasformazione, che, come è ovvio, interessa il muro perimetrale comune, venga attuata a livello dell’appartamento interessato, all’uopo anche ampliando le aperture esistenti e con innesto nel muro comune dello sporto di base del balcone, non si configura una innovazione della cosa comune, ma un puro e semplice uso individuale della stessa, soggetto ai limiti di cui agli artt. 1102 e 1122 c.c. (Cass. 23-4-1980, n. 2676). Il balcone derivante dalla trasformazione della terrazza, inoltre, non deve togliere aria e luce ai piani sottostanti (Cass. 14-12-1994, n. 10704).
Altrettanto frequente è l’installazione, da parte del singolo condòmino di inferriate o grate alle finestre di proprietà esclusiva, al fine di proteggere beni e persone da intrusioni esterne. La giurisprudenza ha precisato che tale opera è legittima in quanto non cagioni un mutamento delle linee architettoniche ed estetiche tale da provocare un pregiudizio economicamente valutabile, o in quanto, pur arrecando tale pregiudizio, si accompagni ad una utilità che compensi l’alterazione architettonica (App. Milano 14-4-1989).
Il condòmino che apporti modificazioni agli infissi delle finestre del proprio appartamento in assenza della preventiva autorizzazione assembleare, pone in essere un’opera presuntivamente abusiva e lesiva del decoro architettonico dell’edificio (Cass. 9-6-1988, n. 3927).
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