Cari amici,
Ho trovato un articolo interessante pubblicato sull’ home page del Sole 24 ore, che descrive lo stato delle finanze dei paesi più indebitati del mondo.
Nel merito ho da aggiungere alcune riflessioni, che sono confermate da opinioni che ritengo autorevoli.
Da tempo le banche centrali dei principali paesi del mondo si sono messi a stampare moneta, con il fine dichiarato di mantenre il sistema finanziario mondiale sotto controllo.
Nello stesso periodo si è fatto di tutto per mantere i tassi di interesse bassi, con il fine dichiarato di evitare l’ esplosione dei conti pubblici nei paesi più indebitati.
Questa politica ha creato la bolla finanziaria del debito pubblico mondiale che naviga sopra l’ economia reale; pertanto i soldi stampati diventano solo statistica, che allargano il valore dei debiti a dismisura senza avere alcuna prospettiva di rimborsarli.
A volte qualche giornale rimette al centro questa questione, come oggi il sole 24 ore, ma poi tutto prosegue nell’ indifferenza, e tutti aspettano la ripresa economica che dovrebbe risolvere la questione in modo radicale.
Però, mi sembra evidente che se i soldi non arriveranno a lubrificare i motori dell’ economia reale, la ripresa economica non partirà mai.
Ciò non si potrà fare fino a che tutti i politicanti e i banchieri continueranno a fare finta di non sapere che i debiti pubblici in futuro non potranno mai essere ripagati nella misura nominale.
Questo è il ciclo di avvenimenti che proseguirà a nostro danno, fino a che gli speculatori finanziari riusciranno alla fine a “far saltare il tavolo” gettando in default qualche paese, o provocando un uscita precipitosa degli operatori finanziari dal dollaro.
Già oggi, in un modo o nell’ altro, stanno aumentando sempre di più gli interessi sulle nuove emissioni di debito pubblico.
Già oggi le materie prime, il greggio e l’ oro soffrono di inflazione e aumentano di prezzo per compensare la perdita di potere di acquisto delle valute occidentali (Anzitutto del dollaro americano).
Pertanto le economie reali ristagnano, poichè i residenti soffrono a causa degli stipendi che non aumentano, e dell’ inflazione che, invece, fa aumentare il costo della vita.
E tutti aspettiamo la “ripresa” economica, come se fosse un treno in ritardo!
Il sole 24 ore
Il ministro del Tesoro Usa Timothy Geithnerha lanciato l’allarme pochi giorni fa: «Il tetto del debito pubblico americano va alzato o si rischia il default». Adesso, seppur con un report generale sui debiti sovrani di molti paesi occidentali e del Giappone, torna in qualche modo sull’argomento Citi. Ebbene,la banca statunitense sottolinea che i dati fiscali Usa sono «appiattiti» dalla decisione contabile di non consolidare il debito dei due colossi dei mutui: Fannie Mae e Freddie Mac. «Nel terzo trimestre 2010 -scrivono gli esperti – le passività e le minusvalenze di Fannie Mae erano poco sopra 3,2 trilioni di dollari; quelle di Freddie Mac poco al di sotto a 2,3 trilioni. La loro somma, 5,5 trilioni, equivale a 37% del Pil annuale statunitense». Ebbene, se questa montagna di debiti fosse consolidata al bilancio federale «spingerebbe nel 2010 il debito lordo» di Washington «al 130% del Prodotto interno ; lo stesso livello di quello greco, ma con un deficit più alto rispetto a Atene».
Certo, «nel bilancio delle due società parastatali ci sono anche diverse attività» che se contabilizzate al loro fair value, renderebbero di fatto neutrale l’impatto delle passività e minusvalenze sul debito netto americano. Certo, il precedente calcolo di Citi è, in qualche modo, puramente teorico. E certo, la posizione debitoria (e non solo) degli Stati Uniti non può paragonarsi a quella ellenica, vista la potenza economica, tecnologica e militare di Washington. Tuttavia, colpisce che l’esercizio contabile sia fatto da una grande banca americana. Ulteriore indizio, se ancora ce ne fosse bisogno, della gravità del problema anche in quel di Washington.
La Grecia finirà per ristrutturare il debito
Un problema, purtroppo, che in Europa si conosce bene. E che Citi passa ai raggi X senza fare sconto ad alcuno. Proprio la Grecia, per esempio, «è lo stato dell’Eurozona che ha la maggiore probabilità di affrontare la ristrutturazione del debito». L’alto deficit fiscale (9,6% del Pil nel 2010); l’enorme debito pubblico e le basse prospettive di crescita rendono la situazione insostenibile. Di più: il necessario incremento delle entrate fiscali, è il ragionamento di Citi, dovrebbe essere sostenuto da un maggiore “consenso” sociale rispetto al prelievo fiscale. Al contrario, il condono voluto dal governo (in contrasto con la troika Fmi, Bce e Ue), non fa altro che alimentare l’evasione fiscale e altri comportamenti non virtuosi da parte dei contribuenti.
Lisbona verso gli aiuti europei
Se Atene piange, Lisbona non ride. Il governo portoghese, che oggi deve affrontare il difficile esame del mercato sui suoi titoli di stato, dovrebbe alla fine chiedere l’aiuto dell’Europa. Il rapporto Debt to Gdp è attorno all’80 per cento. Un valore non distante dalla media europea . Ma non è questo che preoccupa. La posizione netta negativa sugli investimenti esteri è al 113% del Pil, il valore più alto in tutto il Vecchio continente. Nonostante, poi, l’austerity varata nel maggio 2010 il deficit non ha mostrato alcun segno di riduzione: «Il target del 7,3% sul Pil – dice Citi- , potrebbe essere centrato solo con una accorgimento contabile». Inoltre, Lisbona ha il più alto livello di gross-debt nel settore privato, non finanziario: circa il 250% del Pil. Infine, la crescita è stata la più bassa in tutte nazioni periferiche di Eurolandia: il Pil reale nel 2010 è salito del 1,6 per cento. Una congiuntura così debole («potrebbe essere recessione nel 2011»), cui si aggiunge il rendimento troppo alto sui bond, rende difficile il rifinanziamento del debito. L’abbraccio dell’ Ue si avvicina.
L’Italia non rischia (per ora)
Non dovrebbe, allo stato attuale, rischiare di finire a chiedere il sostegno dell’Unione monetaria l’Italia. Almeno, per quanto dice Citi. «Il nostro paese -indica il report- è stato protetto dalla tempesta del debito, nonostante sia entrato nella crisi» con il secondo più alto rapporto debito/Pil (120% stimato nel 2011). L’alto risparmio dei privati; un sistema bancario che è rimasto piuttosto al riparo dal credit crunch; la somma tra il debito privato e quello pubblico ai livelli di Francia e Germania; una stretta sui conti che ha dato vita ad una dinamica di deficit e Debt to Gdp positiva. Sono tutti fattori che «improbabile la richiesta di un “accesso” alle facilities dell’Unione». Tuttavia, la debolezza della crescita, l’invecchiamento della poplazione, e la possibile crisi politica possno creare non pochi problemi in futuro.
La Spagna non può essere salvata con gli attuali fondi anti-crisi
Madrid, fino alla fine del 2010, ha sfruttato la benevolenza dei mercati. Dopo la pubblicazione deglistress test sulle banche in luglio, i timori degli investitori sul sistema finanziario iberico erano spariti. Inoltre, le entrate fiscali, anche grazie alle misure adottate nel maggio 2010, erano aumentate. Il che aveva fatto pensare: il peggio è passato. Putroppo, non è così. I dati sulla solidità patrimoniale degli istituti finanziari sono stati messi in discussione; inoltre, il tasso di disoccupazione è molto elevato; poi, l’autonomia fiscale di diverse regioni impedisce una concreta attuazione della stretta fiscale voluta dal governo centrale. Come già ampiamento indicato, Madrid è un po’ la linea del piave per l’esistenza di Eurolandia. Ciò che aggiunge Citi è che: «L’attuale ampiezza dei fondi» straordinari anti-crisi «sembrano insufficienti per prevenire attacchi speculativi o a finanziare la Spagna nei prossimi tre anni».
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